giovedì 22 dicembre 2011

non è sempre così semplice come si pensa, ma nemmeno mai

quando ero piccolo e vedevo qualcosa nel mondo adulto e serio che mi sembrava avesse poco senso, pensavo che avesse delle buone ragioni per essere così com'era e che di sicuro qualcuno ci aveva pensato e lo avevo studiato e analizzato e si era giunti per passi a quella soluzione, che, se non era quella ottimale, di sicuro non ce n'erano altre banali a portata di mano. bè dai --mi dicevo-- figurati se è così stupido e non ci hanno pensato.

credo di aver capito che non è sempre così. che quando le cose si costruiscono per stratificazioni, per abitudini culturali eccetera, capita spesso che il risultato a cui si arriva --che poi non è un risultato, ma solo un punto intermedio-- sia completamente idiota, e lo si capisce al primo sguardo. ma le cose stanno così, e magari molti hanno interesse al fatto che stiano così, per cui così rimangono, per quanto idiote siano, anche se soluzioni migliori e banali ce ne sarebbero un milione.

applicazione:
lo dicono tutti, su tutti i giornali, per cui ormai siamo arrivati al punto in cui tutti quanti hanno capito e dunque --si spera-- cambierà qualcosa. ma che sia una cosa stupida, lo si capiva da subito: parlo delle società di rating, quelle che misurano la febbre delle banche e degli stati e ci dicono quali stanno bene e quali stanno male. e fin qui, può passare. il punto assurdo è che queste società sono società per azioni, sono di proprietà di privati e molto spesso le fondazioni bancarie sono tra gli azionisti. dunque i problemi sono (almeno) due: 1.confusione tra controllore e controllato, ossia conflitto di interessi 2.questi ci devono guadagnare! (e qui si aprirebbe una valanga di discorsi a proposito di quali campi è giusto che siano gestiti a fini di lucro e quali no, ma lasciamo perdere) e non è che lo fanno di nascosto o illegalmente, tutti quanti sanno che sono società per azioni e dunque a scopo di lucro..ma quale senso può avere se un loro batter di ciglia può fare il bello e il cattivo tempo di una banca e perfino di uno stato?! quale logica c'è nel fatto di fare giudicare istituti e istituzioni da persone che lo fanno per guadagnare soldi? non solo. avevo detto almeno due. un altro problema è che questi giudici, oltretutto, hanno pure sbagliato clamorosamente in casi come --e dici poco-- il fallimento di lehman brothers. dunque, anche ammesso che lo facciano in buona fede, non sono capaci..e che fanno lì ancora? perché ci crediamo ancora?

martedì 13 dicembre 2011

leggeressere

quando le cose vanno un pochino male, e non si hanno grossi motivi per essere leggeri ed ottimisti e sereni, questi motivi nondimeno si cercano. a volte li si trova, a volte no. a volte sono saldi a sufficienza per superare dignitosamente la fase negativa. a volte invece sono macchinosi e forzati e ci si crede --se ci si crede-- solo per il tempo di una misera nota soddisfacente nella bufera di dissonanze.

dove li si cerca questi motivi?
la prima opzione è cecarli in quel che si ha. magari sono triste perché sono basso, però ho dei bei capelli, dunque mi attacco ai capelli per 'dimenticare' la statura. questa è l'opzione più banale. ognuno ha dei punti deboli e dei punti di forza --(ci) si dice-- per cui se non sono bravo a calcio chi se ne importa, sarò bravo a scacchi.

a me questo sembra tanto una pezza. se sono triste perché sono basso, non dovrei risollevarmi con i capelli, dovrei risollevarmi cercando di capire che non dovrei essere triste perché sono basso. ossia: non credo che per avere dei punti stabili a cui aggrapparsi nei momenti difficili sia utile attaccarsi alle cose che si hanno (intese come cose che si toccano e talenti personali ecc..).
non posso essere contento perché ho dei bei capelli, perché questo significa che quello che li ha brutti è destinato ad una vita triste (se è pure basso lo abbiamo perso definitivamente).
quindi, quel che voglio dire --ma è più una domanda-- forse bisognerebbe trovare motivi per essere sereni *a prescindere* da quel che si ha e dalle proprie qualità. o forse essere contenti di quel che si ha, ma a prescindere da cosa e come sia.
capite cosa intendo? e se poi un giorno i capelli mi diventassero brutti? e se poi non sarò più bravo a giocare a scacchi? non solo, ma in questo modo basta incontrare qualcuno che ha i capelli (cioè il tuo punto forte) più belli dei tuoi, e vai in depressione. e la serenità diventa condizionata ad una gara ad essere più bravi e più belli degli altri: se si è sopra la media, si può essere contenti e sereni, altrimenti no.
è evidente che c'è qualcosa che non va.

è anche evidente che sto dicendo delle banalità, e cioè che è meglio essere sereni che non esserelo, a prescindere da quel che ci capita o che siamo. la cosa interessante sarebbe capire come farlo, e non lo so. ci sono fior fior di religioni e filosofie che ci hanno provato, forse bisognerebbe andare a guardarsi quelle, magari con un po' più di rispetto di quel che spesso gli si porta (parlo per me).

tuttavia, senza scomodare nessuna spiritualità, io credo che sia già di aiuto digerire bene questo, e cioè che è molto facile essere sereni se le cose vanno bene e altrettanto facile non esserlo quando vanno male, ma che si può cercare di prescindere un pochino da quel che succede e cercare di essere sempre più leggeri..semplicemente perché si sta meglio e perché, in fondo, pensando da dove veniamo e dove dobbiamo andare, forse vale la pena cercare di divertirsi, come d'altra parte dicono tutti quelli che già hanno vissuto. 

martedì 8 novembre 2011

genio come un pesce

everybody is a genius. but if you judge a fish by its ability to climb a tree, it will spend its whole life believing that it is stupid ~a.einstein

¿è vero o ci suona bene solo perché ci fa pensare --a noi mediocri intendo-- di essere semplicemente mal impiegati o incompresi?

mercoledì 26 ottobre 2011

tiger tiger burning bright

in the forest of the night. eccetera.
ve la ricordate questa filastrocca di --oddio, ho un vuoto di memoria-- va bè, non mi viene proprio in mente; poi la cerco.
la bellezza della tigre.
evidentemente quello che si vuole mettere sotto gli occhi, e di cui la tigre è simbolo, è la bellezza incastrata in qualcosa di terribile. forse anche un po' di più: la bellezza della tigre, il suo fascino, perderbbero molto senza la sua ferocia; dunque non è bellezza nonostante la ferocia e il terribile, ma fusa con questi. 'fearful symmetry' dice poco dopo: è la simmetria stessa (qui sinonimo di bello, di qualcosa di positivo) ad essere spaventosa.
dunque, la domanda è questa: è possibile immaginare un mondo senza ferocia pensando che sia più bello?
è ovviamente una semplificazione a grana molto grossa; pur tuttavia, --specificando che con ferocia si intende tutto quanto c'è di bestiale, animale, istintivo, iracondo, buio in noi-- a me sembra una domanda sensata. va bene, sto usando concetti senza aver chiarito bene cosa ci sta sotto, verissimo e sono il primo a starci scomodo, ma cerchiamo di resistere e vediamo dove si arriva.

in un libro di Russell (storia della filosofia occidentale), la stessa questione è posta come piccolo dialogo virtuale tra buddha e nietzsche. il secondo: difensore della brutalità, ssotenitore della sofferenza, della necessità e, di più, desiderabiltià dell'oscuro: i suoi eroi sono Napoleone, Sigfrido, Achille..insomma personaggi spregiudicati ma forti, singole figure con un lato splendente, nobile (parola che gli sarebbe piaciuta) fatto di grandi e gloriose azioni, ed uno oscuro, meschino e menefreghista. il primo: difensore di una fratellanza universale, sognatore del tramonto di ogni forma di sofferenza a danno di qualsiasi essere vivente, di un egalitarismo incondizionato, della fine di ogni spigolosità e ruvidità in favore della vita serena, senza intoppi, senza dolore.
nietzsche non ci sta. il sogno senza dolore del buddha gli sembra un incubo. la vita senza sofferenza, la serenità beata, senza ostacoli da superare, senza sfide da vincere, sono per lui l'essenza dell'insipidità, la stagnazione più totale, senza più alcuna possibilità di migliorare, di superarsi e di essere quindi grandi e gloriosi. è proprio quel muro di buonismo razionale contro cui intende scagliare tutta la sua filosofia.
allora: a primissima vista, a uno che ti chiede Preferiresti una vita col dolore o una senza? tutti quanti (va bè, molti) non avrebbero dubbi.
però sono convinto che pensandoci un po' meglio e soprattutto con un po' di onestà, altrettanti riconoscerebbero che quel che dice nietzsche non è solo un'accozzaglia di provocazioni deliranti: c'è qualcosa che attrae (perlomeno) la mia onestà in quello che dice, e il fatto che abbia parlato quasi solo di questo lato della storia la dice lunga.
questo premesso, io sto dalla parte di buddha. ma, come d'altra parte dice Russell, non è una convzione di ragionamento...insomma, non è così evidente dove stia e quale sia il punto debole della visione 'fiera' che mi faccia dire, no no, non è così. è più una qualcosa di inconscio, un sentire una nota stonata ma non capire bene quale sia, un rifiuto di accettare Sigfrido come modello collettivo ('collettivo' invece non sarebbe piaciuta).

[william blake]

venerdì 30 settembre 2011

frullato al *naturale*

cos'è naturale?

a un primissimo livello, quello più grossolano, più orizzontale (nel senso di orizzonte) è naturale tutto cioè che deriva dalla natura, cioè tutto. e appunto, dato che ci cade dentro tutto, questo concetto non risulta molto illuminante. ma è bene tenerlo a mente: in fin dei conti tutto è naturale.

avviciniamoci dunque un pochino, per cominciare a vedere le differenze e i diversi gradi di 'naturalezza'. la prima distinzione che ci viene naturale è quella tra cose che in qualche senso c'entrano con l'uomo e cose che ne sono indipendenti.
una casa non è naturale tanto quanto un fiume.
ma perché? dopotutto la casa è fatta di pietre, legno..insomma mi capite. il punto è proprio che nella casa c'è di mezzo un'azione umana, che ''deliberatamente'' decide di 'modificare' la natura (ma mi piace comunque ricordare la visione orizzontale, questa modifica è pur sempre *nella* natura e non fuori). una piccola parentesi qui: molti altri animali 'modificano' la natura (a dire il vero tutti), ma in questi gesti noi non riconosciamo un'innaturalezza. quindi sembra che attribuiamo alla razionalità (che pensiamo una nostra prerogativa, ma ci sarebbe da discutere) una capacità di essere un pochino più fuori dalla natura.

non solo, possiamo andare ancora un po' più vicino, e vedremo che all'interno dello uomo stesso, noi riconosciamo una differenza, una sfumatura di naturalezza che va decrescendo dall'animalità, instinto ec..al ragionamento ecc...
quindi l'uomo stesso può fare cose più o meno naturali, essere più o meno naturale.

non è poi detto che quel che la ragione dice di fare non sia in un qualche modo collegato a quello che l'istinto dice di fare. cioè a dire, andando ancora più vicino, le cose si spaccano e confondono ulteriormente, come guardare un film appiccicati allo schermo. e qui, dunque, ci si incastra e i ragionamenti si piegano su se stessi. i miei senz'altro.

una cosa che mi sembra importante, e che si inserisce a questo livello di sguardo (quello incastrato), è questa: la naturalezza è trasversale al giudizio etico. ossia, non tutte le cose naturali sono buone e quelle non-naturali cattive.
a volte sentiamo giustificazioni di azioni col fatto che sono naturali. ma c'è qualcosa che non va: molto del nostro essere (razionale?) è di fatto un agire *contro* quel che è naturale (anche qui però, sarebbe un contro nella natura, quindi viene anche da chiedersi com'è possibile che la ragione, che a livello più alto è pur sempre un prodotto della natura, in un certo senso la rinegghi, la giudichi e la rinneghi). in effetti molte cose naturali sono semplicemente ingiuste, brutte, dissonanti (basta vedersi un po' di national geographic =)...è naturale 'farsi giustizia da sé' ad esempio , la 'legge della giungla' non è il massimo di giustizia sociale, ecc... non fatemi fare esempi che siete molto più bravi voi di me (mangiare animali è naturale, ma questo lo rende una cosa *da fare*?oppure: la mononogamia non è naturale per l'uomo, abbiamo desideri, istinti ecc.. eppure la scegliamo (questo la rende speciale))
altre volte, invece, la ragione ci spinge a scegliere quel che è più naturale, ad esempio preferiamo mangiare cose su cui l'uomo ha agito, modificandole, il meno possibile.

quindi? quindi un bel niente, dopo essermi incartato rigirato e contorto più di una volta, tanto vale pensarci ancora un po'.

mercoledì 7 settembre 2011

lo specchietto rentrovisore

l'altra sera, ho rotto lo specchietto. dell'automobile. il destro. Andavo forte, la strada era stretta. mi pareva di essere attento e di avere tutto sotto controllo, come sempre. eppure l'ho rotto. non me n'è importato molto. è solo uno specchietto, capita..con mia grande gioia, riesco a non farmi angosciare da cose come queste. Fin qui, tutto bene. poi cominci a dirlo, prima ad uno, poi ad un altro. e salta fuori la domanda 'ma dove hai sbattuto?' e tu, senza nemmeno pensarci molto, 'mah in un paletto, per la strada'. è questo sentire il bisogno di mentire, il vergognarsi della verità, che mi ha fatto capire che avevo sbagliato qualcosa, che avevo fatto qualcosa di cui --appunto-- mi sarei vergognato. Ne ho rotti due di specchietti. La strada era stretta, andavo forte, e c'era un'auto parcheggiata, e ci ho preso contro. Una bella botta, di sicuro l'ho sentita bene, di sicuro anche lì per lì mi sono accorto che dovevo avere sbattuto in quella macchina e che --con ogni probabilità-- avevo rotto anche il suo di specchietto. ma la strada era stretta, e dovevo trovare da parcheggiare, e non potevo fermarmi lì, e sono andato avanti e basta. e la cosa più brutta, in tutto questo, è appunto che per capire, per digerire *veramente* che avevo fatto una cazzata, non è bastato il farla: è servito il doversene vergognare e il mentire con gli altri, per poi capire e digerire. chissà quante cose facciamo di cui ci vergogneremmo, prima con gli altri e poi con noi stessi..e che invece lasciamo andare senza pensarci e senza digerire e senza capire che noi, quello, non l'avremmo fatto, se... se cosa?

venerdì 5 agosto 2011

piccolo uomo

"il treno era quasi vuoto, a parte un'orda di casalinghe di lusso che andavano in città a spender soldi. Faceva senso vederle lì tutte uguali, come se fossero lo stesso modello di automobile ma di anni diversi: una aveva un prendisole bianco a strisce rose, un'altra un prendisole rosa a pois verdi. Tutte avevano i sandali e gli occhiali da sole firmati sui capelli pettinati più o meno allo stesso modo. L'ho trovato uno spettacolo un po' deprimente, perché avevo sempre pensato -- o sperato -- che gli adulti non fossero necessariamente schiavi dello stesso cieco conformismo di tanti miei coetanei. Ero sempre stato impaziente di diventare adulto perché pensavo che il mondo degli adulti fosse, be'...adulto. E che quando stavano insieme, gli adulti non facessero branco o si comportassero da stronzi, che per loro non fosse più il concetto di «in» e «out» a decidere le relazioni sociali, ma ormai cominciavo a capire che quel mondo era stupidamente brutale e pericoloso come il regno dell'infanzia."
un giorno questo dolore ti sarà utile--peter cameron

va bene, va bene...i soliti discorsi, avete ragione. però la sensazione descritta qui credo l'abbiamo avuta tutti una volta o l'altra: quella di capire, guardandosi indietro, che non esiste ''il mondo degli adulti'', che il tempo passa, la gente cresce --eccome-- ma certi meccanismi rimangono tali e quali, infantili. Per fortuna --si può pensare-- che rimane qualche cosa di 'piccolo' dentro di noi. Certo, sono assolutamente d'accordo: peccato che spesso rimangano le cose sbagliate...e più che cose 'da bambino', rimangono le cose brutali e volgari.

martedì 26 luglio 2011

il cavaliere in(e)sistente

Il cavaliere dell'eterna gioventù
seguì, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c'era il mondo
con i suoi giganti assurdi e abietti
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico.

Lo so
quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c'è niente da fare, Don Chisciotte,
niente da fare
è necessario battersi
contro i mulini a vento.

Hai ragione tu, Dulcinea
è la donna più bella del mondo
certo
bisognava gridarlo in faccia
ai bottegai
certo
dovevano buttartisi addosso
e coprirti di botte
ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati
tu continuerai a vivere come una fiamma
nel tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea
sarà ogni giorno più bella.


--n.hikmet--

lunedì 20 giugno 2011

fumo negli o(re)cchi [¡viva la scienza!]

[Feynman a un convegno di intellettuali]

F: partecipava anche un sociologo, che aveva preparato e distribuito in anticipo la propria relazione. Cominciai a leggerla e sgranai gli occhi: non aveva né capo né coda. [...] provai una sgradevole sensazione di inferiorità, di inadeguatezza, finché mi decisi a farla finita. Avrei letto ogni frase lentamente e avrei cercato di decifrarla.
Mi fermai, a caso, e affrontai con la massima concentrazione la frase successiva. Non la ricordo a memoria, ma era molto simile a: «l'individuo in quanto membro di una comunità sociale spesso riceve informazioni attraverso canali simbolici visivi». Sapete che voleva dire? «la gente legge».
Passai alla frase successiva, e capii che ero capace di tradurre anche quella. E tutto divenne aria fritta: «a volte la gente legge, a volte ascolta la radio», ma era scritto in modo così sofisticato che prima non riuscivo a capire niente, e una volta decifrato non presentava niente da capire.
Accadde un unico fatto piacevole e divertente a quel convegno. Ogni singola parola pronunciata nelle sessioni plenarie era così importante che c'era uno stenotipista che trascriveva tutto. In una pausa della seconda giornata mi venne a parlare:«che mestiere fa lei? di sicuro non è professore...» «invece sono proprio un professore» «di cosa?» «di fisica...» «ah, si spiega!» esclamò «si spega che cosa?» «vede» rispose «io sono lo stenotipista e scrivo tutto quanto viene detto. quando parlano gli altri scrivo, ma non capisco. ogni volta che fa una domanda lei, o interviene, invece, capisco di che argomento si tratta, quindi avevo pensato che non fosse un professore.»
[...]
Al momento delle conclusioni, gli altri partecipanti dissero che [il convegno] era stato estremamente proficuo. Poi toccò a me: «questo convegno è stato peggio di un test di Rorschach, quando vi mettono davanti una macchia d'inchiostro informe e vi chiedono cosa vedete, ma se tentate di rispondere vi danno del matto»
Ma non era finita. Doveva esserci un'ultima seduta pubblica. Il presidente del nostro gruppo ebbe la faccia tosta di sostenere che data la quantità di lavoro svolto non c'era tempo per la discussione pubblica, avremmo soltanto letto al pubblico le conclusioni. Cascai letterlamente dalle nuvole: il nostro lavoro era stato zero!
[...]
«a mio parere» conclusi «non c'è stato nessun ordine, solo caos». Tutti mi si avventarono contro «non crede che dal caos possa nascere l'ordine?» «beh, intendete come principio generale?» non sapevo come districarmi da una domanda simile. Sì, no, ma poi in definitiva, che c'entra??
sta scherzando mr. Feynman!--Richard Feynman

martedì 24 maggio 2011

..noialtri.. inter-vallo

[stanchi e un po' rimbambiti dai primi due atti, eccoci finalmente a rinfrescarci un po']


- buona sera, cosa le do
- un caffè grazie
- e per lei?
- latte, un bicchiere di latte caldo
- e come lo vuole, normale?
- sì, normale va bene
- io macchiato
- macchiato?
- sì, macchiato, si capisce
- dunque un caffè macchiato e un latte..
- no no, macchiato è il mio latte, il suo caffè è nero
- ah giusto, un caffè nero e un latte macchiato, ecco
- scusi sa, non è che avrebbe un goccio di latte da darmi
...freddo però


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credo di essere idealista per indole.
mi piace credere che ci sia un modo 'pulito' di fare le cose. mi piace credere fare le proprie scelte (anche molto piccole) guardando le cose da una certa altezza per riuscire a vedere da una prospettiva un po' più ampia, globale, senza strisciare dove sono i localismi ad essere importanti e gli interessi personali ad avere la meglio, alla lunga sia più benevolo per sé e per quelli che ci stanno accanto. E quindi, volendo usare un aggettivo che non mi appassiona, migliore.

con queste piccole idee alla base, ci si costruisce poi una struttura più o meno ordinata di convinzioni, più o meno ragionate, ma comunque sostenute da quanto detto sopra.
potrei grossolanamente riunire tutti coloro che hanno queste --o simili-- convinzioni sotto l'etichetta di idealisti o sognatori.
l'altro estremo è occupato da chi pensa che fare prima di tutto il proprio interesse sia la scelta (di nuovo) migliore, che le teorie sono tanto belle e pulite, ma poi bisogna sporcarsi le mani non solo per cavarsela nella vita, ma anche perché le cose funzionino *davvero* e la società riesca a sostenersi. questo secondo è il gurppo dei 'pragmatici' o meglio dei 'cinici'.

(perdonate la banale e infantile divisione del mondo in buoni e cattivi, spero capiate il livello di generalizzazione con cui la intendo)

io sono molto convinto del mio idealismo e di certo non lo baratterei con nient'altro al mondo.
ma non sono mai convinto di niente a tal punto da non metterlo in dubbio, una volta o l'altra. per cui mi capita di pensare quanto segue:

se al mondo fossero tutti idealisti, tutti a cercare di fare le cose nel migliore dei modi, stando attenti a non fare male a nessuno, a non sfruttare nessuno, a non lucrare a scapito di nessuno...siamo sicuri che una società del genere avrebbe raggiunto il benessere che abbiamo ora? Va bene, qui si potrebbe obiettare che il nostro benessere (di pochi) è seduto sul malessere di molti altri e che quindi senza dubbio una società idealista non avrebbe raggiunto *il nostro tipo di benessere*. è di certo giusto...ma questo avrebbe anche precluso la possibilità di raggiungere quel che abbiamo raggiunto ad esempio nella scienza, o nel pensiero, o nell'arte, ecc..?...insomma, la società che abbiamo, con tutti i suoi difetti e macchie, ha un sacco di cose davvero belle.
non si capisce nulla: sto scrivendo da rincoglionito. vediamo se recupero con un esempio.
software libero contro software proprietario: se ci fossero solo sostenitori del primo, avremmo mai raggiunto quel che abbiamo ora nell'informatica? non credo. E' stato necessario qualcuno che si sporcasse le mani, che ci facesse guadagni, che ci facesse pubblicità...
o ancora: ¿senza Giuda, Gesù avrebbe fatto tutto questo successo?
Questo forse vuol dire che entrambe le prospettive sono necessarie? è difficile da accettare, perché le convinzioni dell'una escludono l'altra...accettare che sia necessario che qualcuno si sporchi le mani, è un po' come sporcarsele, non so se mi spiego.

Tutto questo per accennare al fatto che, pur essendo molto convinto delle mie convinzioni (c'è qualcosa che non va qui), ogni tanto ho qualche dubbio. non sul fatto che sia giusta l'altra visione, ma che siano necessarie entrambe.

c'è qualcosa di familiare in tutto questo.

escher--night&day

venerdì 20 maggio 2011

botte sobria e moglie vuota

questa sera mi era venuta voglia di scrivere qualcosa qui, sul blog.
non ho fatto i conti col fatto (scusate il bisticcio) che non avevo poi molto da dire.
Quindi, mi sono detto, prendi due piccioni con una fava --guarda un po' come i modi di dire sopravvivano di gran lunga alle abitudini che li hanno motivati, oggi basta andare in piazza e basta una briciola, altro che una fava, per prenderne una dozzina, di piccioni-- comunque, Prendi due piccioni con una fava, mi sono detto, Scrivi del fatto che non hai niente da dire.
Ed eccomi qua. in effetti --piccioni a parte-- non ho ancora detto nulla.

ci sono periodi in cui basta un niente per fare partire ragionamenti e visuali 'dall'alto'. altri in cui ti senti come una botte vuota che anche se la colpisici forte, tutto quel che sa fare è rimbombare. chissà cosa determina questo. è semplicemente 'fisiologico'? è dovuto a quel chi si fa? magari quando si è molto impegnati ci si sofferma meno sui ragionamenti...a dire il vero non mi pare, ci sono periodi, anzi, in cui si ha molto poco da fare e l'unico risultato è abbruttirsi e spegnersi ancora di più. dipende da quante e quali persone si frequentano? dipende da se e cosa si sta leggendo?
davvero non lo so. può darsi tutte queste cose messe insieme.

Bene. visto che non vi ho detto nulla e che inizio a faticare nell'intrattenervi, vi butterò lì due cose su un passaggio da un librino di Bauman che sto leggendo (sarebbe meglio dire maltrattando).
Mi pare di ricordare --e non ho voglia di prendere il libro per guardarci, anche se mi basterebbe appoggiare un secondo il portatile, tutto parte dell'abbruttimento di cui sopra-- che dica qualcosa sul fatto che nel mondo contemporaneo, la libertà di scelta è in realtà un'illusione.
Libertà di scelta nel senso più ampio possibile: scegliere cosa mangiare, scegliere come vestirsi, scegliere cosa fare nella vita, ecc...
sarebbe un'illusione perché noi non abbiamo una *libertà* di scelta, ma un *obbligo* di scegliere. Io la interpreto molto personalmente e grossolanamente così: una vera libertà di scelta si ha quando si può anche *non scegliere*, ossia quando si può scegliere di fare qualcosa di diverso da un qualcosa che comunque c'è. Se, d'altro lato, io devo *obbligatoriamente* compiere una scelta, si perde (almeno parte del)la libertà.
Non so se capisco quello che ho appena scritto, né tantomeno se lo condivido. Capisco però la difficoltà insita in una scelta obbligata, con la punizione delle strade che si perdono, e senza il paracadute dell'''opzione di default''.
Troppo comoda?

martedì 26 aprile 2011

Cage gioca a dadi? (ovvero, ha senso un'arte insensata?)


ancora sull'arte.
sto finendo di leggere ''Goedel, Escher, Bach'' di Hofstadter, che, nell'ultimo capitolo, affronta -- per quanto un po' di striscio -- la questione del significato nell'arte. da lì prendo le mosse.

non ho cambiato idea, sostanzialmente, da quanto detto un'altra volta, ossia che arte e significato sono aggrovigliati inevitabilmente e che non può esistere arte dove non c'è messaggio, dove non c'è contenuto.
Questo contenuto può essere nelle forme più diverse, può essere più o meno difficilmente accessibile e comprensibile, può richiedere anche sforzi e studio, ma c'è.

mi spiego. l'arte è formata da tante componenti e, per molti aspetti, è una di quelle che si possono chiamare 'parole contenitori', ognuno di noi riempie la parola ''arte'' con concetti e definizioni che più gli sembrano corretti, ma non c'è un concetto di arte universalmente riconosciuto (come accade per molte cose, ma per alcune più marcatamente, e credo sia questo il caso).

la cosa più vicina a quel che penso io dell'arte è: una creazione che cerca di fare arrivare un messaggio, un significato, in un modo che sia più efficace e esauriente e duraturo (ecc...) che il semplice 'dirlo'.
l'arte fa arrivare il messaggio con una carica emotiva che incastra quel messaggio più in profondità nel cervello dell'ascoltatore rispetto alla semplice comprensione logica di quel messaggio. (a volte mi pare anzi che quel messaggio si incastri solo *sotto* la comprensione logica e riamanga totalmente a livello emotivo. Ma è lì, nondimeno). questa è grossomodo la mia definizione.

ci sarebbe moltissimo da dire su questo, ad esempio sull'evoluzione storica delle arti, sul fatto che alcune creazioni sono fatte bene e 'a regola d'arte', ma mancano di un reale contenuto, di una forma di messaggio (e dunque, rientrerebbero nella categoria di artigianato, più che arte -- per inciso, Bach stesso (e i compositori a lui contemporanei) erano considerati artigiani, professionisti di un mestiere e niente 'di più'), ma non credo che mi soffermerò su questo. magari un'altra volta.

Hofstadter pone l'accento su una questione, che mi pare esemplare per quel che intendo dire. Lui parla in particolare di John Cage, un compositore del XX secolo che ha tentato con la sua opera di ridare il suono al suono, senza alcuna regola, senza alcun codice sottostante, senza alcun criterio estetico e tentomeno -- appunto -- etico o in alcun modo sensato. 'Musica aleatoria' è chiamata, proprio per dare l'idea che non c'è alcuna regola che possa lasciar trapelare un significato. Il suono *è*. e basta. (Il fatto che sia pressoché inascoltabile pare non fosse un problema per lui)
Una cosa simile vale anche per l'astrattismo in pittura. Non so se dico cose corrette o se sia il nome giusto..insomma intendo quei pittori che dipingono geometrie di colori, alla Mondrian. Lì scompare la 'rappresentazione', il dipinto cessa di essere un simbolo di qualcosa, e perde (almeno superficialmente, io credo) il suo valore di significato, diventando 'solo' pura pittura.

Questi tentativi di de-simbolizzare l'arte, di depurare la creazione da un significato 'umano', di togliere persino la carica emotiva e lasciare, o voler lasciare, solo l'oggetto o il suono che sia...questi tentativi, per avere effetto, sono validi solo quando al visitatore del museo (o al pubblico dell'auditorio) questi tentativi sono stati *spiegati*. O meglio ancora, dal momento stesso che quell'oggetto si trova *nel museo* con l'etichetta dell'autore, da quel momento in poi nasce un 'patto' tra visitatore e artista, una cornice (e il termine non è casuale) all'interno della quale quel quadro ha un significato, che è proprio quello che ho spiegato prima, ossia quello di voler de-simbolizzare l'arte. Tanto è vero che questi quadri sono *spiegati* nei libri o nei cataloghi della mostra. e se sono spiegati, significa che qualcosa da spiegare c'è, eccome. Anzi, paradossalmente sono più da spiegare questi quadri ''senza senso'', piuttosto che --mettiamo-- un quadro di Magritte, che invece dice abbastanza chiaramente quel che deve dire, mettendo in moto immediatamente il ragionamento del pubblico.

quel che voglio dire, o ribadire, è che non si può togliere un senso 'umano' dall'arte, altrimenti cessa di essere arte. Se io, mister nessuno, dipingo due righe su una tela e la metto vicino ad un cassonetto, nessuno la noterà (cioè io). Non è arte questa. Se invece riesco in qualche modo a farla rappresentare in una mostra, allora lo diventa. Perché? perché lì, appeso, quel quadro ha un significato, fosse anche il solo signficato di non avere senso!

(pensate anche a questo: quante volte è il *titolo* di un quadro a fare partire, insieme al quadro stesso, i vostri ragionamenti e le emozioni ad essi legate? Questo è sintomo del fatto che il messaggio è la chiave della creazione artistica. Spesso si sentono artisti, o presunti tali, rispondere alla domanda Ma qual è il senso di tale opera, ecc.., Il senso è quello che le dà ognuno di noi guardandola. A me non piace questo. E' vero che ognuno di noi può 'variare sul tema' e andare anche molto lontano dal punto di partenza, ma il punto di partenza ci deve essere. Una scintilla di senso voluta e pensata dall'artista è necessaria, altrimenti posso ugualmente guardare le nuvole, o un albero o un qualsiasi scarabocchio fatto da chicchesia (non appeso al muro di un museo, s'intende))

venerdì 1 aprile 2011

telefusione

c'è chi la guarda per rimbambirsi un po' e non pensare ad altro, un cucchiaio per svuotare la testa.
c'è chi la guarda per passare il tempo, perché ha bisogno di parole in sottofondo per non farsi prendere dall'ansia che aspetta al varco di ogni momento vuoto.
c'è chi la guarda perché gli piace
c'è chi la guarda ma dice di non guardarla
c'è chi non la guarda perché non ha tempo
c'è chi non la guarda perché non gli piace
c'è chi non la guarda perché ha paura di rimbambirsi
c'è chi non la guarda perché così sa che lui può farne a meno
c'è chi non la guarda perché dire che la televisione fa schifo è quasi più di moda che guardarla
e così via

io le ho fatte un po' tutte queste cose. e devo dire che le peggiori, o meglio le più pietose, sono quelle di non guardarla per partito preso o di guardarla ininterrottamente fino a perdere coscienza di se stessi e delle proprie opinioni, cioè in maniera acritica.

a me piace la televisione. è una grande opportunità. quelli che dicono che si starebbe meglio senza, che la telvisione fa schifo...secondo me non ci hanno pensato, o lo hanno fatto superficialmente.
E' vero, molte cose fanno schifo in televisione, tipicamente quelle più guardate. Ma ci sono tante cose belle, di qualità, che davvero non solo vale la pena vedere, ma aiutano, aiutano, aiutano, informano, formano, costruiscono, insegnano, o anche solo divertono senza cattivo gusto (pagando il canone però! altrimenti sì che rimangono solo stronzate). non si starebbe meglio senza, si starebbe molto peggio.

Poi: io sono a favore dell'effetto cucchiaio. Che male c'è a volere staccare la spina per un po' guardandosi una stronzata? l'importante è non crederci troppo, non farsi risucchiare dal meccanismo, non fare fondere il proprio cervello con lo schermo. l'importante è non diventare dipendenti da un programma. l'importante è non confondere gli approfondimenti di cronaca con un telefilm, come ahimè ci spingono a fare, aspettando il colpo di scena nella prossima puntata. queste -- e tante altre -- sono le cose schifose della televisione. ma non è tutto lì. bisogna filtrare, scegliere, ponderare, con attenzione e cura. e, come vale spesso (o sempre), bisogna diffidare delle cose troppo sgargianti e spettacolari, come madre natura ci insegna da sempre.
(come mi piacerebbe avere uno di quei macchinini per l'auditel (ancor mi sfugge come funzioni il meccanismo e come facciano a fare una statistica corretta con un campione così piccolo))

non si può 'buttare via' la televisione...è come dire che internet fa schifo e che si stava meglio prima: non so se si stesse meglio prima -- io non credo -- ma comunque ormai è qui ed è un'enorme opportunità. Non è perché molti la usano male che l'opportunità diventa una schifezza da sbattere fuori dalla porta! comunicazione, condivisione, collaborazione...sono ancora belle parole.

e comunque, i libri ci sono ancora.

mercoledì 16 marzo 2011

secondo movimento

una volta qualcuno mi convinse, o meglio mi fece notare, che i primi stanno antipatici. nella mia smania competitiva ansiogena ipocondriaca patologica, di stampo prettamente familiare, è stata come un'illuminazione. no, non proprio a dire il vero, è stata più come una goccia di inchiostro nell'acqua, piano piano ha colorato tutto. sì, certo, prendetemi pure per il culo, intanto io ora sono a posto con me stesso. perché è indubbiamente vero: il più bravo, il più bello, il più intelligente, insomma quelli che cascano sempre in piedi, sono fastidiosi, sono antipatici, sono arroganti..e se non sono tutto questo, allora lo sono anche di più. e allora, chi me lo fa fare di volere essere primo? meglio secondo. molto meglio. ah, che liberazione. viva il secondo movimento, quello lento, riflessivo..e lasciamo gli effetti speciali all'apertura. l'importante non è vincere e nemmeno partecipare, è divertirsi. mi spiace solo non avere ringraziato con il peso sufficiente. lo faccio ora. 

mercoledì 2 marzo 2011

apologia del fiocco

L'umanita' si divide in due. Chi la odia e chi la ama, la neve. E io in questo non riesco proprio a non vederci la solita, trita divisione, apollineo e dionisiaco, tesi e antitesi, ordine e caos ecc.. e c'e' davvero.
A me piace la neve. E' bella innanzitutto, e questo e' molto importante. Non e' utile la neve, e' vero. Anzi fa danni, per chi si deve alzare e andare al lavoro e produrre oggi come ha fatto ieri, col sole. Ma la neve gli fa lo sgambetto, il treno non parte, arriva in ritardo...la neve richiede calma, pazienza, tranquillita'. Fateci caso un attimo, nessuno vive per le cose utili. Servono, chiaro, non sto dicendo questo..senza produrre qualcosa di utile non si va da nessuna parte. Ma non e' la meta. Non e' la meta. La neve ce lo ricorda, o dovrebbe.

mercoledì 23 febbraio 2011

tempusedaxrerum

Mi piacerebbe sapere se vi capita mai la seguente cosa:
passate un periodo tutto sommato tranquillo, da tutti i punti di vista, con impegni sufficientemente 'radi' o comunque con una scadenza sufficientemente lontana per potervi permettere di non lavorarci anche la sera, ad esempio, o comunque tale che non vi frulli per il cervello quasi constantemente.
In quel periodo avete tempo anche di fare altro, di pensare ad altro, di *cazzeggiare*, semplicemente. E magari vi vengono idee, ispirate dal libro che avete il tempo di leggere, e magari avete voglia di scriverle, di rielaborarle in qualche modo, e vi sentite 'crescere', sentite che si aggiungono dei pezzetti dentro di voi.

Poi il periodo finisce. Ogni buco della giornata è preso, si fanno un sacco di robe, che magari vi rendono anche fieri e vi fanno sentire bene...però, quando avete un attimo il tempo di tirare il fiato e guardarvi attorno..non vi trovate. Guardate nella vostra testa e non c'è nulla. Sì, certo, c'è che oggi avete fatto questo e quest'altro, e che quella persona vi ha detto la tale cosa, e che domani mattina dovete presentare la tal altra..ma voi, voi non ci siete. E vi rendete conto per un attimo, che tutte quelle cose frenetiche che avete fatto, non le avete fatte *davvero* consapevolmente, semplicemente le avete vomitate. E allora vi ricordate del periodo tranquillo, di quante idee, di quante strutture vi si formavano nella testa, quanti collegamenti tra le cose che vi succedevano e che leggevate sui giornali, sui libri o sentivate alla radio (tutte cose che ora non avete il tempo di fare, oppure anche sì, ma sempre di fretta, male e quasi perché vi sentite in *dovere* di farlo) di quale rete c'era dentro di voi che vi faceva essere consapevoli di quello che facevate, davvero.

Vi capita? davvero, mi interessa

Non so se la conclusione sia che è sempre positivo avere del tempo per oziare, oppure se è giusto avere periodi alterni, per poter davvero capire cosa si sta vivendo.

Comunque sia, e questo non me lo toglierà dalla testa nessuno (tanto più che oramai è diventato un lietmotiv di quel che dico e lo ripropongo in varie forme più o meno mascherato -- e comunque non è farina del mio sacco, come quasi nulla peraltro) sono convinto che l'ozio, l'avere poco da fare, l'avere il tempo di perdere tempo...ecco, questo: E' fondamentale. Ed è anche produttivo, a suo modo: da' all'individuo quella visione di lungo respiro che non avrebbe mai vivendo tutti i giorni a mo' di ricetta da eseguire. E questo è solo positivo, significa farsi una struttura interna, una coscienza, una morale., che permette poi di scegliere quali ricette si è disposti a cucinare e quali sono invece contro quello che noi siamo e che quindi vomiteremmo e basta.

mercoledì 9 febbraio 2011

heisenberg rivisitato

«In order to hold a very strong opinion, you have to exclude all the other opinions. And that means you have to become unreasonable.»
-Linus Torvalds-

(traduzione libera): quando si è molto sicuri della propria opinione su qualcosa, si perde inevitabilmente una faccia della questione. A prescindere da chi lo abbia detto -- non è questo l'importante -- è una situazione in cui mi ritrovo: tendo a diffidare da chi ha opinioni troppo decise e secche. o meglio -- diciamo la verità -- mi conforta, perché io non ne ho.

domenica 6 febbraio 2011

da uomo a... uomo

non cambieremo mai. è ancora -- e sempre -- una gara a chi ce l'ha più lungo. bisogna essere forti, sicuri di sé, responsabili, bisogna 'avere le palle', dicono. mi sono proprio rotto! voglio essere fiero di come sono, fiero della mia insicurezza, fiero della mia timidezza, fiero di essere buono, gentile, disponibile. quando tutto questo sarà considerato meglio che 'avere le palle'?eccheccazzo. forse dovremmo davvero fare la paleodieta.

venerdì 4 febbraio 2011

hereafter

sarà che non mi piace clint eastwood e nemmeno matt damon..ma sfido chiunque a spiegarmi dove questo film differisce da una totale schifezza.

martedì 1 febbraio 2011

cercando scuse per cazzeggiare

«Le storie che si scriveranno, i quadri che dipingeranno, le musiche che si comporranno, le stolte pazze e incomprensibili cose che tu dici, saranno pur sempre la punta massima dell'uomo, la sua autentica bandiera [...] quelle idiozie che tu dici saranno ancora la cosa che più ci distingue dalle bestie, non importa se supremamente inutili, forse anzi proprio per questo. Più ancora dell'atomica, dello sputnik, dei razzi intersiderali. E il giorno in cui quelle idiozie non si faranno più, gli uomini saranno diventati dei nudi miserabili vermi come ai tempi delle caverne.»
-Dino Buzzati-

non mi va di scrivere la tesi.

lunedì 24 gennaio 2011

il lupin di lambrate

ho visto il film su Vallanzasca.

Esagero (ma poi non tanto): sembra un film d'azione all'americana con il bandito brillante e intelligente, gentiluomo, più 'giusto' di tutti quanti gli altri personaggi, anche del giudice del tribunale, dove i cattivi sono i poliziotti, cattivi e stupidi, stupidi come i compagni di banda di vallanzasca, che se non fosse per loro che ne combinano di tutti i colori, se non fosse per loro il bel rené di sicuro non l'avrebbero beccato, quegli stupidi di poliziotti.
E tutti quanti gli vogliono bene, e anche lo spettatore -- è inevitabile -- finisce per provare una certa ammirazione, e pure un po' di invidia.

dunque: il placido michele poteva anche chiamarlo lupin e dargli un accento francese anziché milanese, e non ci sarebbe stato problema: a chi non piace lupin? ma lupin non ha mai ammazzato nessuno, sul serio.
è tutta questione d'accenti. e qui si capisce molto bene l'accento del regista, anche se ha dichiarato il contrario.
Sembra che Placido voglia utilizzare il fascino del protagonsita per ammiccare al pubblico, più che per una reale presa di posizione.

Non è un accanirsi contro Vallanzasca, non conosco la storia, e per quanto ne so potrebbe davvero essere stato come è dipinto nel film, bello, brillante e vincente: questa non è una critica a lui. Quel che critico è la presa per il culo dei poliziotti, l'aria da fiction, i personaggi caricaturati...il fare finta che sia finto, sapendo che tutti sanno che è vero. Quindi non mi da fastidio tanto il punto di vista da cui la storia è presa, quanto il modo in cui è raccontata.

venerdì 21 gennaio 2011

democritica

io ve la butto lì, sono troppo pigro per pensarci sul serio.

Mi ha sempre stupito il seguente fatto: in democrazia vince, e dunque comanda, chi è eletto, giusto? ma per essere eletti non sono richieste competenze specifiche, l'unica cosa che serve davvero è sapere farsi eleggere.
Qui, da completo ingenuo, ho sempre visto un qualcosa che non va: perché per avere un misero lavoro malpagato ormai non basta più nemmeno una laurea, mentre per avere posti politici anche di potere quello che serve è sapersi vendere, avere un certo tipo di carattere, crearsi conoscenze, amicizie, farsi pubblicità...sono queste le qualità che vogliamo da chi deve comandare?? poi ci si lamenta perché c'è corruzione, doppiogochismo e quant'altro...ma non è insito nelle regole del gioco?
bah, sono sempre stato scettico sulla democrazia. non contrario, solo scettico -- e certo non solo per questo motivo.
ok, mi rendo conto che è poco più (oddio, forse meno) che uno sbotto, tant'è.

dream out loud

Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è pietra, questo è la pietra.
...Ciò che scorre nei fiumi non è acqua,
è un sognare, l'acqua, cristallina.
La realtà traveste
il sogno, e dice:
"Io sono il sole, i cieli, l'amore".
Ma mai si dilegua, mai passa,
se fingiamo di credere che è più che un sogno.
E viviamo sognandola.
Sognare è il mezzo che l'anima ha
perché non le fugga mai
ciò che fuggirebbe se smettessimo
di sognare che è realtà ciò che non esiste.
Muore solo
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.

Pedro Salinas

martedì 18 gennaio 2011

piccolo pensiero notturno

Oggi ho comprato un librino di Otto Karolyi: 'la grammatica della musica'. Lo stavo sfogliando, in treno, e ho cominciato -- come sempre faccio quando compro un libro, anche se so che non posso ancora cominciare a leggerlo, ma giusto così, per assaggiarlo un po' -- a scorrere la prefazione. prima riga: la musica è arte e scienza allo stesso tempo.

Mi sono subito fermato, ho posato il libro. L'ho ripreso, sono andato velocemente a controllare se per caso argomentasse quella sentenza, oppure se semplicemente la riteneva evidente di per sé. Nessuna spiegazione, il discorso continuava da quella ipotesi.
Ho ri-posato il libro.

Troppo facile. Buttare lì, sulla carta, come prima riga, una frase che suona bene e che ammicca, una di quelle frasi che 'sì va bè ci può stare, non fare tanto il precisino', ma in realtà nascondono tutto un mondo.

Parto subito dalla fine: io credo che sia sbagliata. Non ci ho pensato a lungo, lo ammetto. E ammetto anche -- o piuttosto avviso -- che non porterò qui grosse argomentazioni a questo riguardo.

C'è solo un senso per il quale potrei forse acconsentire ad ammettere che la musica è scienza, ed è il seguente: la musica è qualcosa che è nella natura, e viene 'scoperta' e liberata dalla teoria 'scientifica' musicale.
Ma io non credo che sia così. O meglio, può anche essere, ma questo non fa di lei una scienza. Questo vuole solo dire che la musica ha una base empirica. Una teoria scientifica che spiegasse come le onde sonore interagiscono col nostro sistema nervoso per dare luogo alle sensazioni che proviamo..questa forse sarebbe scienza, ma sarebbe una branca della neurologia piuttosto che della musica.

Non si può dire che la musica è scienza solo perché alla sua base stanno regole precise, rapporti di frequenze...ecc...sarebbe come dire che la pittura è una scienza perché usa la prospettiva (quando la usa), oppure che l'ingegneria è scienza perché usa formule per fare stare in piedi gli edifici. Non basta questo per fare di un'attività una scienza. così come non basta un po' di fantasia per fare dell'arte.

Bene, ci sarebbe moltissimo da dire e ancor più da pensare...e vorrei tanto farlo. Ma è tardi e gli occhi cominciano a non dare più retta.

sabato 8 gennaio 2011

diamo a Novaro quel che è di Novaro

sorelle e fratelli d'Italia, ho scoperto, con sommo disappunto, la seguente:
Goffredo Mameli -- poeta e patriota genovese -- ha scritto le parole di quel che lui chiamava Il canto degli italiani, e che tutti conosciamo come Inno di Mameli, ma non la musica (bè, tecnicamente già lo sapevo, ma non mi ricordavo e comunque non mi aveva fatto tanta impressione allora...saranno i festeggiamenti?tanto meglio).
Ora, a me piace molto il nostro inno, è come credo un inno dovrebbe essere: fiero, orgoglioso, forte e ispiratore di sentimenti patriotici. Ci sono inni più meditativi, più placidi...non mi piacciono, l'inno deve essere felice e positivo.
Ma lasciamo da parte quel che penso io degli inni.
Sta di fatto che la forza del nostro inno non sta tanto nelle parole (che pure a me piacciono, anche se le ultime due strofe parlano di cose evidentemente lontane dal sentire comune dell'Italia d'oggi) quanto nella musica.
Dunque, l'ho presa larga ma ora sono al punto, che già avrete capito: la musica è scritta da tale Michele Novaro, anch'egli patriota e genovese, del tutto sconosciuto ora e allora.
Per lo meno io ignoravo del tutto questo nome. Mi riprometto d'ora in poi di chiamarlo sempre Inno d'Italia (come si dovrebbe sempre, perché chiamarlo inno di Mameli o di chicchesia è già un po' staccarsene) oppure -- se proprio -- inno di Novaro, e comunque di "diffondere" la cosa, per dare a Novaro quel che è di Novaro. Non che abbia nulla contro Mameli (tra l'altro il poveretto è morto a soli 22 anni, nei giorni della Repubblica Romana). Dico solo che una stradina a Novaro gliela si potrebbe anche dedicare, visto che non solo lo facciamo con Mameli, ma pure -- e mi sono sempre chiesto perché -- con un bombarolo e assassino come Felice Orsini.

edit: vedo che in effetti esiste via Michele Novaro in alcune (poche) città, per lo meno a Milano e Genova. Evviva! resta solo da toglierla ad Orsini.

mercoledì 5 gennaio 2011

.....noialtri

....
...
ii. scherzo ma non troppo

piace piacere.
per questo ci si veste in un certo modo, ci si pettina in un certo modo, ci si abbronza in un certo modo, e via dicendo.
anche essere ascoltati piace. spesso mi accorgo di quanto sia raro trovare qualcuno che ascolti. non sto dicendo di qualcuno che sta zitto mentre stiamo parlando e nel frattempo pensa al suo prossimo discorso, che a volte non centra nulla con quel che gli stiamo dicendo. Sto parlando di gente che ascolti sul serio e che magari sia pure un po' interessata.
Ma quel che piace, quel che lusinga (quasi) allo stesso modo che essere ammirati fisicamente (o forse è meglio dire sessualmente) è essere ascoltati, non ascoltare. Anzi, forse mi sto sbagliando, forse non importa molto neppure essere ascoltati davvero, ma semplicemente poter raccontare a qualcuno. Comunque..il principio è lo stesso: protagonismo, affermazione di sé, autostima, egocentrismo.

E' normale essere egocentrici, direi quasi -- volendo essere pignoli, e io lo sono -- che il concetto di persona porta con sé avvinghiato il concetto di egocentrismo, ed è difficile immaginare l'una senza l'altro e viceversa. Ma allo stesso modo è difficile immaginare l'idea di singola persona senza immergerla, per poi isolarla, nell'insieme delle persone. E l'egocentrismo è dunque la naturale conseguenza di essere persone singole in una comunità di persone. Non so quanto questo sia un bene o un male, così è.

Però.
paradossalmente questo stesso egocentrismo, che intendo nel suo significato di voler piacere agli altri e una cui componente importante è evidenetemente piacere agli altri sessualmente, questo egocentrismo ci sta portando non ad essere tutti diversi, non a differenziarci nelle nostre peculiarità, non a voler imporre -- da buoni egocentrici appunto -- il nostro modo di essere ed essere apprezzati per quello, ma piuttosto ci sta pian piano omogeneizzando, facendo sì che siamo noi a modellare quel che siamo in modo da piacere di più, secondo un gusto più o meno comune.

Invece di costruire qualcosa da dentro, prendiamo il pacchetto pronto e lo usiamo. è più facile, è più veloce e garantisce in media il risultato.

domenica 2 gennaio 2011

noialtri -- opera sbuffa in troppi atti

preludio
poco fa ero in auto, con mio fratello. Stavo guidando e, al solito, accendo la radio. Radio3, come sempre da parecchi mesi ormai. Ma c'è qualcuno che canta, il che non mi entusiasma, e poi mio fratello è un po' insofferente a questo tipo di musica. Pesco a casaccio tra le decine di cd sparsi lì da qualche parte in basso alla mia sinistra, beethoven, dai, vediamo se c'è qualcos'altro così mio fratello è più contento; chopin, tchaikovsky..i rem. ok vada per i rem.
Il disco è NewAdventuresInHiFi, lo ascoltavo mille anni or sono, e non so nemmeno bene perché sia lì, dato che ero convinto che l'unica alternativa a beethoven e chopin fosse il concerto per violino di tchaikovsky, oppure deandré (ed era questo che volevo mettere, alzando ben di poco il gradimento del pubblico).
Scorro un po' le canzoni, e mi torna in mente il perché il disco fosse lì: semplicemente un po' di mesi fa mi era venuta in mente una canzone, BeMine, e ho preso il disco in macchina.
Inizio a pensare che è un album niente male e che mi piacciono i rem. «bè, non sono male i rem, no?» «no, no, sono bravi. credo che siano considerati un po' monotoni, noiosi.»


atto i
Quante volte mi è capitato questo? Questo fatto del 'sì, bello, ma noioso' intendo. E forse, pensavo, forse non è un caso. Pensateci un attimo: sta diventando tutto palloso. Partiamo dal più drastico: quante sono le persone che provano gusto a leggersi un libro intero? Ok, moltissime, ma lo sappiamo tutti che -- in Italia in particolar modo -- si legge sempre di meno, i ragazzi hanno sempre meno voglia di mettersi seduti a leggere un libro. Quante quelle disposte a leggere i quotidiani? intendo leggere, non sfogliare e guardare le figure o mozziconi di titoli. Quanti coloro che ci provano davvero gusto ad ascoltare una sinfonia? o anche solo una modestissima sonata? quanti che hanno voglia di mettersi a guardare addirittura un'intera opera?
molto meglio una canzone, la tensione si crea e si appaga nell'arco di pochi minuti, richiede -- parlo della media delle canzoni -- pochissimo sforzo da parte di chi ascolta, la struttura musicale è così scarna da essere percepita come piacevole da qualsiasi tipo di orecchio, e se proprio non ho voglia di applicarmi, allora posso anche non ascoltare le parole. 4 minuti, tutto finito, che bello.
Non fraintendetemi: a me piacciono moltissimo le canzoni, e altrove sono pure arrivato a sostenere che la canzone è la mia forma d'arte ideale. Sto solo dicendo che oggi la filosofia imperante è che meno ci si sforza per arrivare ad un appagamento, meglio è. Questo non tiene conto che forse con un po' più di impegno, l'appagamento potrebbe aumentare. Avete capito cosa voglio dire.
Mi viene in mente il discorso che fa Baricco nel suo libretto 'i barbari', che potete trovare anche sotto forma di spiegazione/racconto dello stesso Baricco su youtube, un suo leitmotiv che spunta un po' ovunque nelle sue riflessioni sociali: le nuove generazioni trovano il senso del loro percorso di vita nella velocità, strappano piccoli pezzi di senso in moltissime azioni e velocissime. Al contrario, il vecchio modo di apprezzare le cose, di trovare un senso nelle cose, era fermarcisi, sforzarcisi sopra, scavare a fondo fino a farle proprie e poi, solo allora, rialzarsi e muoversi.
Questo paradigma di distinzione tra velocità e profondità sembra in effetti essere una cornice in cui entrano agevolmente le considerazioni che facevo poco fa.
Pensate ai film campioni di incassi: spettacolo, azione, effetti speciali, esagerazioni. Prendete un film come 2001 Odissea nello Spazio e fatelo vedere ad un ragazzo (diciamo che non lo conosca già)...niente di più palloso. Prendete un libro che non sia una storia o un giallo, ma un saggio, che faccia discorsi e ragionamenti. Noioso. Prendete un pezzo di musica classica, togliete i 30 secondi stranoti -- magari perché hanno contribuito a far vendere una lavatrice. Il resto: noioso. Mi sembra proprio che si stia andando verso l'uguaglianza complesso=noiso.
Non solo nei gusti "artistici". Preferiamo l'insalata già confezionata, già lavata, con il suo bell'involucro di plastica, perché è più facile, più veloce, meno 'sbattimento' per prepararla e per comprarla. Ma la qualità?
Non so, ma la tentazione di lasciarsi andare al pensiero che la qualità sta proprio dove i più ci vedono la noia, è forte.
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