mercoledì 29 dicembre 2010

pablo honey

Abeja blanca zumbas, ebria de miel, en mi alma
y te tuerces en lentos espirales de humo.

Soy el desesperado, la palabra sin ecos,
el que lo perdió todo, y el que todo lo tuvo.

Última amarra, cruje en ti mi ansiedad última.
En mi tierra desierta eres la última rosa.

¡Ah silenciosa!

Cierta tus ojos profundos. Allí aletea la noche.
¡Ah! desnuda tu cuerpo de estatua temerosa.

Tienes ojos profundos donde la noche alea.
Frescos brazos de flor y regazo de rosa.

Se parecen tus senos a los caracoles blancos.
Ha venido a dormirse en tu vientre una mariposa de sombra.

¡Ah silenciosa!

He aquí la soledad de donde estás ausente.
Llueve. El viento del mar caza errantes gaviotas.

El agua anda descalza por las calles mojadas.
De aquel árbol se quejan, como enfermos, las hojas.

Abeja blanca, ausente, aún zumbas en mi alma.
Revives en el tiempo, delgada y silenciosa.
¡Ah silenciosa!  
-Pablo Neruda-

martedì 28 dicembre 2010

e vissero tutti felici e contenti

Scrivo qui a commento a quanto scritto a questo indirizzo, che invito a chi passasse di qua ad andare a leggere, è molto più interessante di quel che c'è qui.

[rileggendo velocemente quello che ho scritto, mi sono reso conto di essere stato decisamente troppo "vogliamoci bene", troppo generico, troppo sognatore (tutte cose che mi infastidiscono) e che sono stato su un piano che non è quello su cui volevo commentare. Tant'è.]

Io credo che ci siano almeno due punti fondamentali:
- capire quello che si vuole,
- capire come poterlo ottenere.

-Quello che si vuole-
ho più o meno sempre vissuto pensando che il mondo fosse 'arrivato'. Ossia che tutte le turbolenze della storia, quelle che si studiano a scuola, fossero -- appunto -- storia e che ora la società, quella occidentale almeno, fosse giunta tutto sommato ad un equilibrio più o meno stabile. Il capitalismo (parola con la quale intendo -- grossolanamente -- il modello di economia finalizzato al produrre utili sotto forma di capitale), con tutti i suoi difetti, credevo non fosse oramai più in discussione.
Con questa premessa è superfluo dire che mi sono ricreduto. Mi sono convinto che il periodo in cui viviamo non è diverso da altri segmenti di storia; non siamo in nessun equilibrio e tantomeno arrivati da nessuna parte. Bella scoperta. Bè, per me lo è stata.
Cosa voglio dire con questo? Che credo che il modello sociale del mondo occidentale possa e, di più, debba estinguersi o comunque evolvere.
Qual è il punto: sembra banale a dirlo, anzi è banale: il mondo non può più permettersi questo modello sociale. Lo si ripete ormai come un ritornello troppo sentito, come un'aria canticchiata in testa tante di quelle volte che le parole hanno perso il contorno e il senso. Non per questo il senso non ce l'hanno: la società occidentale non può continuare a vivere come ha fatto negli ultimi 50, 60 anni. Non possiamo semplicemente produrre e consumare, senza mettere nei conti almeno due cose: l'ambiente e il resto della popolazione.
E' necessario un nuovo modello economico nel quale il "costo" di un prodotto tenga conto della sua sostenibilità ambientale, di quanta acqua ed energia sono servite a produrlo e in quali modi.
Quel che sta succedendo è che sempre più porzioni del mondo meno sviluppato stanno entrando nel calderone del libero mercato, e il calderone è destinato a scoppiare. I problemi che la cosiddetta globalizzazione, il mercato globale stanno creando alle aziende italiane e non, decentramenti di produzione ecc... sono piccole scosse di un terremoto che verrà, e che darà vita ad un nuovo assetto. Bisogna lavorare affinché questo nuovo assetto sia come lo vogliamo. Noi, certo.

Dobbiamo fare un salto ulteriore nella scala dell'aggregazione sociale. Gli uomini dovrebbero vedersi in quanto appartenenti ad una comunità, e la grana di questa comunità deve diventare sempre più grossa.
Siamo partiti dalle caverne, dove ognuno pensa al proprio cibo e alla propria sopravvivenza, siamo passati a piccole comunità agricole, poi a città, poi a forme di comunione sempre più ampie. Tutto questo è stato raggiunto anche con il fondamentale apporto della tecnologia nelle forme di comunicazione e di scambio tra comunità diverse.
Internet è una forma tecnologica che allarga molto sensibilmente l'orizzonte della comunicazione. E' questa forma comunicativa che va utilizzata per saltare lo steccato del modello attuale e raggiungere modelli di condivisione e convivenza superiori.
Innanzitutto bisogna comprendere che il capitalismo ha portato enormi ed innegabili benefici, ma ha perso pian piano per la strada l'obiettivo che ogni animale sociale dovrebbe avere (o almeno la classe dirigente): il bene della comunità, prima del proprio. E' questo respiro corto, questa visione troppo ravvicinata che fa del capitalismo che viviamo qualcosa di snaturato e ingiusto.
Sto leggendo in questi giorni il libro di Hofstadter "Geodel Escher Bach" e lì si fa un paragone tra formiche/formicaio e neuroni/cervello. La visione di basso livello del cervello(formicaio) sono i neuroni(formiche). Ma la meraviglia non sta a quel livello! Se guardiamo il cervello al livello neuronale vedremo solo tante cellule collegate che liberano scariche di ioni. Se guardiamo il formicaio a livello della formica vedremo solo singoli insetti che si procurano cibo. E' ad alto livello che stanno le meraviglie dell'intelligenza del cervello e dell'intelligenza della comunità delle formiche.
A quel livello dovremmo aspirare, e ci vuole un respiro lungo, molto lungo. Anni luce, davvero anni luce dalle visioni dei nostri politici.

-come poterlo ottenere-
credo che il punto fondamentale e a un tempo più difficile, sia scardinare la visione corta e malata del benessere personale a scapito altrui.
A partire da noi stessi, a partire da me, che pure scrivo queste cose. Mi viene in mente una canzoncina di Michael Jackson, man in the mirror, conzone sbrodolosamente buonista e molto faziosa (nel senso di fabio), ma il seme è giusto. Non sto dicendo che tutti debbano pensarla così, questa è pura finzione. Ma almeno coloro che guidano pezzi di comunità dovrebbero avere questo in mente.
Ovvio, non ci si può fermare qui.
Coloro che condividono queste, o simili, idee devono organizzarsi e iniziare piano piano a creare delle bolle comunitarie in cui discutere di questo. Di persona, potendo, con assemblee, ma che siano assemlee con contenuti, con seminari con proposte e direi soprattutto con insegnamenti. Se c'è un punto sul quale sono incondizionatamente d'accordo con la persona a cui sto rispondendo è questa: serve conoscienza! In queste assemblee bisognerebbe che innanzitutto si insegni e si impari.
Bisognerebbe istituire un blog o comunque uno spazio sulla rete in cui scrivere il mondo che si immagina e perché e discuterne. Bisognerebbe cercare di mettersi in comunicazione con i movimenti che già ci sono. Ultimamente mi sto interessando al free software. La Free Software Foundation, il progetto GNU di Richard Stallman, sono tutti movimenti di persone che (per lo meno per quel che ho capito) lavorano all'elaborazione di software non con il primario obiettivo di fare soldi, ma affinché chi ha bisogno di software li possa avere. Questo non vuol dire che sia sbagliato guadagnarci, non è questo il punto. Ma non è il guadagno l'obiettivo. Siamo diventati come lo stupido che guarda il dito e non la luna. La luna, il respiro lungo, è il bene della comunità, della popolazione, qui sta il vero progresso.

--
Certo, queste sono tante e solo parole. D'altra parte sono teorico per curriculum e sono piuttosto convinto che non ci sia nulla di più pratico che una buona teoria (ma questo lo diceva un altro teorico). Non che ce l'abbia, anzi.
Seriamente: tutto questo è semplicemente mettere insieme una serie di idee confuse, poco collegate, poco motivate, ma piuttosto convinte, con la convinzione dell'intuizione più che del ragionamento. A questo dovrebbero serivire le assemblee e le riunioni: a dare struttura, testa a idee e convinzioni volatili.

sabato 25 dicembre 2010

ecce gould

"una volta che Leonard Bernstein, in turneé a Toronto con la New York Philharmonic, andò a trovarlo, Gould non volle che restassero a casa sua e gli propose « si potrebbe fare quello che mi piace di più ». Così partirono con la macchina di Gould, sepolto sotto pellicciotti, sciarpe, testa e mani invisibili, i finestrini accuratamente chiusi, il riscaldamento al massimo, la radio a tutto volume. Girarono in città per due ore. Due ore di sudore e rumore. Bernstein, che non ne poteva più, ad un tratto gli chiese se lo faceva spesso. Estasiato, Gould rispose « tutti i giorni »" [da Glenn Gould--piano solo di Michel Schneider]

mercoledì 15 dicembre 2010

venerdì 10 dicembre 2010

inchiostro

Forse è capitato a tutti. E' mattina e la stanza è buia. Sei a letto. La tua testa inizia molto lentamente a svegliarsi. Per qualche istante, che non saprei di fatto dire se si tratta di momenti o secondi o minuti, tutto tace. In testa intendo. Non c'è nulla, solo la sensazione di essere a letto. Poi il tutto inizia a mettersi in moto e la testa comincia a caricare tutti i pensieri, tutte le situazioni che si stanno vivendo in quel periodo, le preoccupazioni, le gioie, le certezze o i dubbi, le cose da fare una volta alzatisi, ecc...
Ci sono dei periodi -- sarà capitato a tutti, dicevo -- in cui questo caricare è come prendere un bel foglio di carta bianco e rovesciarci sopra un litro di inchiostro. Nero.
Allora le mani cominciano a tremare e si sente freddo. Si prende la coperta, la si porta sopra la testa e si aspetta. Si aspetta che quella sensazione passi. Si vorrebbe tanto avere un bella funzione 'ignore all', come quando si butta via la spam dalla posta. Non c'è, e si aspetta. Ma quella non è solo una sensazione, e aspettare non serve a nulla, l'inchiostro rimane lì. Cercare di pulire? Perso in partenza. Niente, l'unica è alzarsi e fare finta che il nero sia bianco...o per lo meno grigio. E si continua ad aspettare comunque, anche di giorno, si trattiene il respiro per non sentire l'odore di quell'inchiostro, per non ricordarsi che esiste e si aspetta...che passi, finchè non si torna a letto, la sera.

mercoledì 8 dicembre 2010

il riso abbonda sulla bocca degli stolti

"Se vuoi un anno di prosperità coltiva del riso. Se vuoi dieci anni di prosperità pianta degli alberi. Se vuoi cento anni di prosperità istruisci degli uomini" - proverbio cinese

c'è sempre da imparare dai cinesi.

martedì 7 dicembre 2010

darWIN

Sapete, a volte mi sento inadatto. Proprio così. E il senso preciso in cui percepisco questa 'inadattezza' è forse più centrato dall'inglese unfitness. La natura ha deciso che i più adatti debbano andare avanti: 'survival of the fittest'. Inadatto.
Non c'è nulla da fare, la natura ha inserito la larva della competizione troppo all'interno della trama stessa dell'esistere, perché si possa avere la pretesa di eluderla, di scardinarla e di vivere per condividere qualcosa piuttosto che per vincere qualcosa. Perché semplicemente vivere è combattere per vincere. Chi prova diversamente, chi cerca di stare fuori dal gioco, nel gioco ci cade eccome, e perde.
Chi non riesce non dico a vincere, ma nemmeno a combattere per provarci...questo è la quintessenza dell'inadatto.
E se il mondo di oggi ha tanti pregi -- e di certo non è giusto vomitarci sopra, come spesso si è tentati, chissà perché, di fare, con la sconfinata abitudine di vantarsi delle proprie sfortune -- ha però il difetto di aver reso vani tutti i tentativi che finora gli uomini (o alcuni uomini) hanno fatto per abitare un mondo nel quale il principio non fosse che è il più forte ad avere sempre la meglio. Discorso banalotto, lo so, ma da quando in qua banale è sinonimo di sbagliato? Anzi, credo che bisognerebbe avere il coraggio di
affrontare di più le questioni 'banali', piuttosto che incunearsi nei meandri della 'cervelloticità' e dell'intellettualismo.

Dunque, la società ha seguito quel principio di adattamento, per cui c'è chi vince e chi perde, e vincere è meglio. Si potrebbe obiettare su ciò. Si potrebbe dire che le possibilità oggigiorno per i più 'deboli' o per coloro che stanno più in basso nella scala sociale sono infinitamente più alte che in passato. E' vero, ma -- a ben guardare -- questo non ha scalfito il principio in sé, semplicemente è cambiato il concetto di 'debole' e sono cambiati, in parte, i mezzi con cui si scala la montagna del successo e in genere dell'essere un buon cittadino.
Ma il principio è sempre quello: tutti giocano, molti perdono, pochi vincono.

Non c'è nulla di male né di bene in questo, è così e basta. No, scusate ma non sono d'accordo, c'è di male e molto. Ed è qualcosa che si sente, dentro, qualcosa che stride, qualcosa che suona male, una dissonanza, un'alterazione.

sabato 4 dicembre 2010

gustar(t)e

E' sabato. Dovrei studiare, lavorare, preparare domande...un sacco di cose insomma. Invece sono qui seduto sul letto con il computer in braccio, ad ascoltare canzoni che farei meglio a non ascoltare. belle però. e non è bello quando le cose belle, sono brutte. Ma non è di questo che volevo scrivere.

In realtà volevo continuare quel discorso sulla musica, ma mi è passata la voglia. Per cui farò (di nuovo) parlare qualcun altro in merito...e magari poi ripartirò da questo commento, sì, mi piace così. Intanto ecco qua:

"All'idea che il compositore crede di aver attinto qualche cosa di artistico corrisponde il fatto che quella musica non offre gran che a chi ascolta. Io ho un altro atteggiamento: anche se la maggior parte della gente non ama quello che faccio, quelli a cui piace si divertono; non la consumano perché è arte, ma perché ci provano gusto"

Questo è Frank Zappa.
Alla prossima