mercoledì 26 dicembre 2012

piccola messa solenne

ieri sono stato a messa. ogni tanto ci provo, così, per vedere se magari mi succede qualcosa, se cambio idea, non so..la stessa cosa che faccio col cibo che non mi piace. Niente, nonostante sia aperto alla spiritualità (credo,spero), io a stare lì a sentire e dire quelle robe proprio mi imbarazzo, per me e per gli altri: mi sento uno scemo, mi sembra una farsa --e sono convinto che lo sia, fatta così. Non ce l'ho con il rituale, a me piacciono molto i rituali, ma quelli belli e intelligenti, non quelli tristi e stupidi. triste soprattutto: mai un sorriso, una risata, un applauso: se il prete parla bene, eccheccavolo facciamoci un applauso! anche piccolino, ecchessarammai, un minimo di vita! no, è tutto morto.
è bello ritrovarsi insieme, condividere gli stessi valori ed avere un luogo e un motivo di ritrovo, questo è fantastico, davvero...ma non per starsene lì tristi a testa bassa a sentire delle banalità e a ripetere a macchinetta formule ormai prive di qualsiasi senso. un po' di divertimento! un po' di scambio umano!
Nota positiva. Durante la comunione, parte l'organo: era l'ouverture del guglielmo tell, rossini (qui sotto, la parte calma però --da 6:10 a circa 8:50-- non pretendiamo troppo). che forte!! ridevo, ed ero l'unico e mi sono anche dovuto sentire in imbarazzo.
esperimento fallito, ahimè.

domenica 9 dicembre 2012

inverno interno

Un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi
opinione di kafka. non sono un fan degli aforismi, un po' perché spesso non dicono nulla ma lo fanno in un bel modo -- e allora ci si rimane abbindolati -- un po' perché sembra che se una cosa l'ha detta quello lì allora dev'essere vera.
questo non toglie che a volte una frase possa piacere perché dice bene una roba che già abbiamo dentro, con cui siamo davvero d'accordo, che avremmo potuto anche dire noi, in qualche senso. Questa frase di kafka mi piace molto, e ancor di più quando mi prendo la libertà di leggere arte dietro a libro.

sabato 24 novembre 2012

correndo il rischio di essere banale--sempre avanti, a sinistra

ho riletto, ed ora sono sicuro di essere banale, ma non ho più voglia di metterci le mani.
vediamo un po'.

C'è chi è fortunato e chi no, chi si becca qualche brutta malattia e chi arriva sano e lucido a cent'anni, chi becca l'amore al primo colpo e chi soffre e continua a soffrire. e di certo non c'è equilibrio..forse c'è in media, ma senz'altro non per il singolo. dunque la natura è ingiusta, siamo d'accordo? bene, siamo d'accordo.

su molte di queste robe, non ci si può fare nulla, ma non su tutte.
seconda domanda: vogliamo fare del nostro meglio per eliminarle queste ingiustizie (dove si può) o no? qui già ci sono più dubbi: c'è chi può pensare che se la natura le ha messe, un motivo ci sarà, che bisogna accettarle, prenderne atto anche se non le capiamo (per noi sono ingiuste, appunto), vederle come 'regole del gioco' e giocare. Altri pensano che, invece, su quei punti in cui si può intervenire, allora lo si debba fare. Io sono tra questi. Ma anche la storia direi che la pensa bene o male così, anche se ogni tanto si ricrede e torna un po' indetro, poi un po' avanti..e così via. Voglio dire che se si pensa da dove siamo partiti, abbiamo fatto passi da gigante (insomma, la strada fatta è tanta, ma sulla velocità si può discutere) ed oggi nel mondo occidentale si è debellata una grande quantità di ingiustizie, a cui noi non facciamo più nemmeno caso..proprio come fossero malattie estinte. e anzi quando qualche telegiornale ci fa presente che in qualche posto del mondo simili ingiustize ci sono eccome, la nostra reazione è che prima o poi finiranno, che sono ancora *indietro*, come civiltà.
Tanto per fare qualche nome illustre, lo schiavo esiste solo sui libri di storia. Una volta, vi ricordate, c'era il re, ed era re perché era figlio del re. poi i francesi si sono arrabbiati (e non si sono più molto calmati) e noi oggi votiamo per eleggere chi ci governa ed ogni voto vale 1. abbiamo una sanità pubblica: chiunque sta male può farsi curare; non funziona proprio perfettamente, in alcuni stati molto meglio, in altri molto peggio..ma c'è, ed è di certo una forma di giustizia che ci sia, come tutti --sono convinto-- converrete. Abbiamo una forma di tutela delle giustizie individuali, la legge, che è -grossomodo- uguale per tutti e che a noi sembra del tutto scontata...e così via. Certo, chi ha sfortuna c'è ancora e ci sarà sempre, ma si è fatto molto per mettere gli sfortunati sullo stesso piano dei fortunati.

Molto di quelle che siamo riusciti ad eliminare (tutte?), tra le ingiustizie di natura, mi pare siano ascrivibili al grande contenitore delle disuguaglianze sociali. Dunque, quel che in efffetti voglio dire è che la storia si è sempre mossa (almeno a grana grossa) verso l'eguaglianza sociale degli individui. (le chiamo ingiustizie di natura, nel senso che se nascevi schiavo, nascevi schiavo e basta..non vedo la differenza con la sfortuna di averci una malattia)
quindi io penso (e spero) che il mondo si sposterà sempre verso l'allargamento di questa eguaglianza. eguaglianza che io non vedo in altro modo se non come una lotta dell'umanità per eliminare i danni e le ingustizie che la natura, il caso (che lo si chiami un po' come si vuole) ci impone alla partenza.

Ce ne sono ancora moltissime di questo tipo di ingiustizie e badate che --proprio come la schiavitù-- capita che queste ingiustizie non si vedano tanto bene, prima -ovviamente se si è dalla parte (in)giusta. ce ne sono tantissime -dicevo- ma ora ne citerò due, un po' perché mi danno particolarmente fastidio e un po' a caso, perché mi sono venute in mente quelle (le due cose sono legate, s'intende). Ora, quando le scriverò, tutti quanti penserete che sì, va bè, saranno anche ingiustizie, ma sono così e basta, non si può pensare di farci qualche cosa, sarebbero più i danni che i vantaggi eccetera eccetera. A me invece sembrano proprio assurde, e sono sicuro che prima o poi la storia (cioè noi) ci farà qualche cosa.
Risorse naturali: diciamoci la verità, la ricchezza degli stati dipende dal grado di educazione e cultura da una parte e dalle risorse naturali dall'altra. Queste risorse naturali chi gliele ha messe lì? perché il rame che sta in cile dovrebbe essere del cile? il rame dovrebbe essere di tutti quanti! il petrolio? di tutti. il carbone? di tutti. il ferro? di tutti. a me sembra un'ovvietà. Sto pensando --tanto per fare un po' di pratica-- ad un governo internazionale, che disponga di tutte quante le risorse globali e le distribuisca...a noi sembra normale che uno stato che ha una risorsa sia molto contento di potersela godere e venderla al prezzo che più o meno riesce a decidere lui, ma questo solo se pensiamo agli stati gli uni *contro* gli altri...ho capito che sembra infattibile, che non riuscamo nemmeno ad unire l'europa ecc...a me non interessa che sembri fattibile adesso (non lo è ovviamente) mi interessa che sembri a tutti la cosa più giusta ed auspicabile, che sembri la direzione che si vorrebbe che la storia prendesse..proprio perché è la direzione del meno ingiustizie.
Altra questione. questa è proprio il baluardo delle banalità, ma non mi pare che questo la renda meno importante (anche se ho un po' paura a dirla): condizione sociale, o meglio, ricchezza/povertà. Non è possibile, o meglio è possibile ma non dovrebbe esserlo, che c'è chi nasce povero e chi ricco. ecco, l'ho detta. piano un attimo: non sto dicendo che quando nasciamo ci devono togliere alla famiglia e mescolarci ecc (idea che pur tuttavia ha avuto illustri sostenitori). non penso assolutamente che dovremmo avere tutti le stesse identiche condizioni alla nascita...ma nemmeno troppo diverse! e nemmeno sto pensando all'eliminazione del mercato per dare tutta quanta la gestione economica allo stato, questo è abbastanza agghiacciante. Sto invece pensando a delle specie di limiti nel capitale che si può avere personalmente, nei limiti di quel che si può dare in eredità ad un figlio...a dire il vero, adesso che ci penso, sto semplicemente pensando a delle tasse, che vadano nella direzione di abbassare le diseguaglianze (e in parte già ci sono, quindi non è nulla di così originale).

Va bene, sono proposte un po' difficili da digerire, me ne rendo ben conto. ma, nondimeno, penso proprio che questa difficoltà di digestione sia un abbaglio; un abbaglio come quello --lo so mi ripeto, mi scuso per la colpevole e pigra penuria di esempi-- di Aristotile che pensava che gli schiavi fossero tali di natura e sarebbero, dunque, inevitabili..o come l'abbaglio di chi pensava che l'essere mancini o omosessuali fossero malattie da curare.
vedrete, ci arriveremo, se la terra ci sopporta ancora per un po'.

giovedì 8 novembre 2012

sistema re ?

si dice no? che una volta si sistemava ed ora si butta e ricompra. si dice talmente tanto, che viene istintivo dire che non è vero, o per lo meno viene d'impulso fare le debite distinzioni.
Poi, l'altro giorno (molto altro), mi si sono rotti gli auricolari. devo dire che io uso molto gli auricolari. c'è chi li usa poco, o niente, ma a me servono: per cui auricolari rotti è un problema.
ne ho comprato subito un altro paio. mentre lo facevo, però, mi sentivo in colpa. dopotutto si era rotto solo il filo. e mi è venuto in mente (bè, non proprio, è una di quelle robe che ce le avevo già in mente dalla rottura, ma non ci avevo pensato davvero) che quando ero più piccolo mi piaceva da matti armeggiare con auricolari (bè, una volta c'erano solo le cuffie) casse, jack e cose varie...e avrò sistemato decine di cuffie o auricolari. perché non stavolta? risposta confezionata: perché la società adesso è fatta così.
i motivi veri sono ovviamenti tanti: credo che il principale sia: una volta non avevo i soldi per comprarli subito nuovi, gli auricolari, e -semplicemente- mi arrangiavo. però, quella risposta confezionata -per quanto sembri un luogo comune- c'è. tanto è vero che poi, spinto dal solo spirito di competizione con me bambino, ho provato a sistemarli. non ci sono riuscito: gli auricolari moderni sono molto più complicati! ho pure cercato su internet ed ho trovato milleuna guide per riparare qualsiasi tipo di guasto potessi immaginare: bisognava bruciare i fili perché adesso ci mettono una pellicola isolante, eccetera eccetera...insomma, mi è passata la voglia: tanto vale davvero comprarne di nuovi. tutto questo per dire che un po' mi sono rassegnato ad accettare che quella tiritera sul buttare e ricomprare è un po' vera, è un po' intrinseca nel 'come vanno le cose' (il famigerato e famelico sistema).
poi ho fatto un po' l'equilibrista e ho provato a pensare se lo stesso meccanismo si può applicare alle relazioni personali: è vero che una volta i problemi si sistemavano e si andava avanti e adesso si butta e si ricomincia da capo?

mercoledì 25 luglio 2012

stationary figure

(_philip guston_)

certo il caldo -e il dipartimento che sembra rimini a dicembre- aiuta a sentirsi (mi do del si) statici; ma perché c'è sempre bisogno di uno stimolo -per non dire una qualche forma di obbligo- per mettere energia nelle cose che si fanno? bloccato (tipo che invece di lavorare cerco figurine da mettere qui..c'è da dire che mi diverto però, a cercare le figure).

lunedì 16 luglio 2012

we build for eternity (?)

quando ero in scozia ho visitato una distilleria di whisky (rigorosamente senza e). una roba tutta molto turistica, con negozio di cianfrusaglie e souvenir vari, visita guidata con signorina (molto gentile) che ti porta in giro, ti spiega un po' di storia, un po' di meccanismi (pochi, che la gente si stanca quando si va sul difficile, soprattutto se non è che poi del whisky gliene freghi più di tanto, solo passava dalla scozia e vuoi non vedere la distilleria? giustamente.) e poi c'è la degustazione finale. tutto senza sborsare un centesimo. molto carino.

c'è una cosa che mi ha colpito del whisky. che si sa benissimo, sia chiaro...ma è uno di quei momenti in cui c'è bisogno di un po' di rito perché una roba che sai già ti diventi davvero chiara. la cosa è banalmente questa: dodici anni! questi prendono l'orzo, lo fanno fermentare, lo distillano (un paio di volte) e lo mettono nelle botti. poi aspettano dodici anni, almeno (!).

quando ero lì ho pensato immediatamente che il whisky è una roba di un mondo che non c'è più. il modo di pensare che c'è dietro, voglio dire. è un po' come i coccodrilli o i ginko biloba, dei fossili viventi, che sono sopravvissuti in qualche modo, ma non ci azzeccano con il contorno.
poi, ora, tutto quanto il mondo del whisky, il suo vestito per così dire, è perfettamente inserito nel meccanismo commerciale produttivo, pubblicità, marketing e compagnia cantante. ma a guardarlo dall'alto, la filosofia, l'idea, sono roba che ha l'odore del mondo vecchio, roba che non c'è più. (niente giudizi di merito, anche se si potrebbero pure fare)

e mi è venuto anche in mente che da qualche parte ho sentito Daverio (il tipo strampalato -e un po' arrogantello- di Passepartout, per intenderci) che raccontava di un suo incontro con qualche americano venuto in italia. questo si era stupito molto dell'urbanistica delle città medievali, e della loro 'resistenza' al tempo. (forse non era porprio di questo, ma il concetto rimane). e lui (Daverio) ha detto 'we build for eternity' e l'altro 'you're right man, we build for real estate'.
eccole qua le due filosofie. (ora c'è pure il merito.)
purtroppo (eccolo il merito), non è più vero neanche per noi, e da un sacco di tempo.

lunedì 28 maggio 2012

nomina sunt

mi è venuto in mente un altro esempio (di quello scritto qui sotto) che mi piace: i nomi.

l'altro giorno ho visto una foglia sulla terrazza. era una foglia di ginko biloba. e non ricordavo di averne visti (di ginko dico) lì intorno, quindi mi sono messo a guardare giù dalla terrazza tutti quanti gli alberi per vedere se riuscivo a beccarla. non l'ho trovata, ma è stato carino stare un po' lì a guardare tutti gli alberi, tigli, aceri, magnolie. ed è finita lì.
più tardi --o forse subito-- mi sono sorpreso a pensare che senso possa avere sapere il nome degli alberi. uno sa il nome degli alberi e ha la parvenza di conoscerli, ma non è vero. non è che perché so che quel tale albero si chiama ginko biloba io conosca meglio quell'albero o quella specie. per conoscerla dovrei sapere come sono fatte le foglie, i fiori, qual è la sua storia, dove vive..e così via, il nome è una convenzione che non ha sostanza.
bene, non fa una piega, tutto vero (sono un nominalista convinto, come più o meno tutti immagino).
d'altra parte, nonostante non contenga alcuna informazione sul 'chi sia' quell'albero, il nome è importante. senza sapere i nomi io non mi sarei soffermato su quella foglia, sorpreso di vederla lì. non mi sarei guardato in giro, eccetera...conoscere il nome di qualcosa non vuol dire conoscerla, certo; ma non la si può conoscere se prima non la si addomestica, la si avvicina, nominandola. conoscere i nomi a questo serve, a renderci domestico un qualcosa che prima non lo era..è un avvicinamento alla cosa, indispensabile alla conoscenza 'sostanziale', è un pacchetto che può sembrare rigorosamente superfluo e invece è spesso il lasciapassare di quel che importa.

e devo ammettere che questa convinzione --di questo si tratta-- mi rende i nomi molto simpatici, mi sembrano quasi un modo per rendere più intimo e meno lontano tutto quanto ci sta intorno...e invece che vederli come etichette, mi sembrano più come bigliettini che accompagnano un regalo.

venerdì 18 maggio 2012

il pacchetto e il regalo

ieri era l'anniversario della morte di luigi calabresi. dell'assassinio. e stavo guardando, a sera tardi, uno speciale di minoli, di qualche anno fa, che davano su rai3. c'era il figlio che parlava (il direttore de la stampa) e raccontava di quando, nel 2004, ciampi ha deciso di dare una medaglia al valore a suo padre (non di ciampi) --e ad altri-- con un cerimonia al quirinale.
lui --mario, il figlio-- era scettico. non aveva mai creduto in queste storie, era (è) un tipo che bada alla sostanza e non ai rituali, alle cerimonie, ai momenti istituzionali. ma, ovviamente, andò comunque, e --dice-- capì di essersi sbagliato fino ad allora, che non è vero che il rito non serve. che spesso non basta la sostanza, o meglio la sostanza, senza momenti in cui coagularsi ed essere rappresentata, può disperdersi e non riuscire a sostenersi da sola. la medaglia la si può pure buttare il giorno dopo, l'importante è quel momento collettivo in cui si riconosce quel contenuto. la medaglia è un pretesto, per avere qualcosa di concreto da fare lì, in quella cerimonia. l'importante è che ci sia quel momento, in cui la memoria di calabresi trova rappresentazione e si concretizza per poter durare più a lungo.

è una roba che è capitata anche a me. voglio dire, a me non in un'occasione specifica, ma ad un certo punto (e senza troppe sfumature) ho capito che anche se razionalmente il rito è insensato, ha una sua forza. la medaglia, il pacchetto il rito la decorazione, ad una testa come la mia, dava fastidio: mi pareva un orpello inutile. se c'è la sostanza, mi dicevo, allora il pacchetto è in più ed anzi, la sporca. se non c'è, il pacchetto è un'ipocrita presa in giro. il secondo caso è indubbiamente vero: l'errore sta nel primo.
rimane il fatto che il regalo vero è quello che sta dentro al pacchetto, e se manca quello, non c'è rito che tenga. ma quanto è importante la sorpresa, il bigliettino, lo scartare!...sono tutti riti che danno un spinta al contenuto.

d'altronde, il concetto stesso di regalo è il pacchetto di qualcos'altro, che sia affetto, stima, amore. quella è la sostanza. in effetti, alcuni pensano che i regali siano inutili: se c'è l'amore, cosa può aggiungere un insignificante ed inutile convenzione come 'il regalo'? invece non è così, quello è il lato sbagliato da cui guardare la cosa. (ed è vero solo nel caso in cui si facciano regali perché *lo si deve fare*)
i regali (e i pacchetti dei regali) sono i momenti in cui quel sentimento (se c'è) ha una spinta, una boccata di emozione, una rappresentazione. e sono molto importanti, con buona pace delle teste rigide dei razionalisti.
e, se ci pensate, in fondo l'arte stessa non è altro che un modo di impacchettare al meglio possibile un contenuto, un modo di fare un'iniezione di emozione ad un'idea, ad un significato che, da solo, non avrebbe la forza di sfuggire al tempo e alla banalità.

sabato 12 maggio 2012

eros e thanatos

l'altra sera sono andato al cinema a veder MaHlEr, di KeN rUssEll -che consiglio, ma non è di questo che voglio parlare. c'è una scena, uno dei tanti sogni-ricordi-episodi, in cui aLmA (la moglie) corre nel bosco e va a seppellire gli spartiti delle sue canzoni, che il marito avevo snobbato e deriso. la colonna sonora di quella corsa+sepoltura è quella che trovate qui sotto, il LIeBEstOD del TrIsTaNo di WaGnEr. avevo già visto il film prima, ma non mi ricordavo ci fosse questa musica e mi ha colpito. e devo dire che mi è andata direttamente ai nervi, con tanto di pelle d'oca, groppo in gola e tutto quanto.
ripensandoci, più tardi, ho provato a capire cosa era stato. no, lo so cosa è stato, intendo dire cosa fa di una musica (o un quadro, insomma, ci siamo capiti) una cosa tanto potente. e ho individuato almeno due cose fondamentali: il riconoscere. il significato.
riconoscere: sono sicuro che chi guarda il film ma non conosce questa musica, non ne rimane colpito. verosimilmente non la nota neppure (almeno non *consciamente*) e si guarda la scena. se la nota, al massimo può pensare che sia bella (o brutta). proprio bene bene che vada gli fa venire un po' di brividi, ma questo deve essere proprio un sentimentalone. riconoscere quella musica è fondamentale, è come se dentro ci fosse già un posto creato da quella musica, la sua zona, il suo nido che è pronto a prenderla e a coccolarsela.
significato: tolto il significato che questa musica ha, le si toglie gran parte del fascino, della forza. per tutte quante le musiche è così: questa ha un significato specifico, visto che fa parte di un'opera e c'è una vicenda che le note raccontano, ma il significato può anche essere del tutto soggettivo, un po' come l'odore di pioggia nel bosco ti ricorda un momento particolare, che ha voluto dire per te qualche cosa.
questa, dicevo, ha un significato specifico e particolare...forse anzi è uno dei pezzi di musica che più si portano dentro un qualche cosa, anche se spiegare cosa sia lo rende un po' banolotto, come vedrete. (sarò più veloce possibile)
siamo alle ultimissime note dell'opera, del racconto. non so se sapete la storia di tristano e isotta..ma non importa, è quasi uguale a quella di giulietta e romeo: amore vivo, ma impossibile, possibile solo nella morte. e la scena finale è appunto la morte di isotta sul cadavere di tristano. dunque questa musica si porta dentro un miscuglio inestricabile di amore e morte, di ascesa e decadenza..o forse sarebbe ancora meglio dire amore *nella* morte e ascesa *nella* decandenza (liebestod vuole appunto dire morte d'amore). e la sua stessa struttura ricalca questa impossibilità...per tutta l'opera la musica è stata un continuo creare tensione senza mai raggiungere una soddisfazione, senza mai raggiungere una pace (in effetti, se proprio devo direlo, l'opera è pallosissima). solo qui (precisamente al quarto minuto e poi -e definitivamente- al quinto) wAgNeR finalmente vi da quello che aspettate, un po' di piacere, un po' di pace, che è -insieme- l'amore e la morte, i due veri opposti. pelle d'oca assicurata.

mercoledì 18 aprile 2012

alle prese con corsi e ricorsi di bellezza, e non

esistono delle cose belle ma fredde. voglio dire, bellezza di per sé non vuol dire profondità né significato né stimolo. dunque, esistono delle cose belle, il solo assistere alle quali provoca piacere, ma esistono delle cose che sono belle e hanno anche qualcosa in più, una specie di calore. anzi, dirò di più, le cose che sono troppo belle, impeccabili, costruite al millimetro, quelle sono proprio le candidate a perdere o a non avere quel calore.
se diamo uno sguardo alla storia dell'arte, vediamo che ci sono dei fenomeni che capitano di continuo, a volte su scala epocale e mondiale, ma di certo accade innumerevoli volte se andiamo a vedere la singola arte o addirittura il singolo artista. il fenomeno è questo: il continuo oscillare tra il lento e paziente costruirsi di un paradigma di metodi per fare arte fino al raggiungimento --di solito compendiato in un artista che diventa simbolo e riassunto di un'epoca-- di una candida, razionale e impeccabile bellezza (che però ha dimenticato i significati e le emozioni da cui tutto era partito) e l'insinuarsi di aspetti tumultuosi, passionali, emotivi, irrazionali che pian piano sporcano e minano l'architettura perfetta della pura bellezza fino al rifiuto pressoché totale degli strumenti tecnici che avevano reso possibile quella perfezione. si giunge così a due strade: una tipicamente porta al prevalere di una passione che si ritrova a vivere in rappresentazioni di linguaggio banale e spesso volgarmente spettacolare e ammiccante, l'altra non fa altro che ricominciare il respiro, muovendo i primi passi verso la costruzione di un nuovo paradigma.
e a me pare che i risultati di gran lunga più interessanti e forti si raggiungano quando quella bellezza pura viene sporcata e crepata dall'interno da quei torrenti emotivi ed irrazionali, lì sta il momento in cui l'arte è bella ed interessante insieme. la pura bellezza è piacevole ma non scuote, non insegna, non aggiunge nulla all'animo dello spettatore. la pura passione, nella banalità degli strumenti espressivi, diventa fastidiosa e piaciona e perde ogni eleganza formale che è prerogativa della bellezza.

volevo semplicemente ricordare qui un paio di esempi nella storia dell'arte nei quali siamo noi italiani a giocare il ruolo degli 'sporcatori', di coloro che danno un po' di vitalità e di colore alle forme troppo perfette di qualcosa che ormai era diventato ''classico''.

un esempio è nella musica barocca. nel cinque/seicento il centro della musica occidentale erano i paesi bassi. il paradigma (raggiunto a fatica durante un processo che attraversa sommessamente tutto il medioevo e fiorisce nel quattrocento) era quello della grande polifonia: delle vere e proprie cattedrali di musica, che nulla avevano da invidiare alle loro corrispettive tangibili, dove si incastrava una voce sull'altra, una linea melodica sull'altra fino a costruire immensi e scintillanti edifici sonori. già da tempo, tuttavia, c'era qualcosa che si muoveva sotto, lontano dalle cattedrali e dai luoghi della musica seria. ed era una voglia di melodia, pura e semplice melodia vocale, piacevole, cantabile e semplicemente accompagnata da un sottofondo strumentale. non più 4 o 5 (a volte molte di più) melodie che si incastrano e si rincorrono in un intreccio complesso, per quanto perfetto. e siamo noi italiani a dare voce (è il caso di dirlo) a questi ribollimenti popolari, con la nascita del melodramma, un po' in tutt'italia ma soprattuto nella scuola romana e ancor più a venezia. continueranno ad esistere i compositori di musica polifonica perfettamente costruita (almeno fino a bach, che in effetti chiude il ciclo della polifonia come paradigma musicale) ma la direzione della musica, di quella vocale così come di quella puramente strumentale, è ormai un altro, ed è quello di una melodia (che sia cantata o suonata) accompagnata. la voglia di semplicità e di immediatezza aveva così distrutto quegli edifici bellissimi e perfetti, ma vuoti, tenuti in piedi non da significati, non da emozioni (da dove, invece, tutto era cominciato, nell'alto medioevo sinceramente spirituale) ma da tecnica. haydn, mozart, beethoven e tutto il romanticismo musicale, sono figli di questa rivoluzione del gusto, di questa distruzione della forma polifonica ad opera dei musicisti italiani del cinquecento e seicento, come monteverdi, frescobaldi, vivaldi, che predilegevano la bella e piacevole melodia su tutto il resto.

l'altro esempio è un pochino più indietro nel tempo, e precisamente quando la grandezza dell'arte greca (detta, appunto, classica) si scontra e si fonde con i romani, quanta espressione acquistano i volti scolpiti! quanta più umanità, dolore, emozione si percepisce in quelle statue rispetto all'apollinea perfezione dei vari discoboli, aurighe e compagnia bella!
ma ora come ora, non ho più voglia di scrivere..quindi lascio tutto qui a metà e me ne vado a bere il tè. non prima di dire, però --se per caso non si fosse capito-- che io preferisco di gran lunga gli aspetti irrazionali, lì sta il significato, lì sta l'emozione, lì è il punto in cui l'artista è consapevole di stare facendo qualcosa perché la reputa importante e piena di suggestioni..è molto più utile una roba brutta ma piena di vita e di cose da dire, piuttosto che una bellezza piena solo di tecnicismi. (non dovevo dire utile)

venerdì 2 marzo 2012

di madonne con bimbo e cappelli militari (ovvero un'opinione su artigianato e arte)

vediamo se riesco a spiegarmi. è una mia fissa lo so, questa del 'cosa è arte e cosa no', ma lasciatemi divertire.

pensate per esempio a tutti quei quadri di madonne con bambino, o deposizioni o natività o annunciazioni, o pensate alla musica di bach (tanto per fare un nome). potranno essere --e in alcuni casi lo sono eccome-- molto belli, ma cosa c'è sotto? non c'è nulla. c'è un committente che dice Io vorrei una madonna col bambino, oppure Preparami una musica per questa messa. e loro, da bravi artigiani, si mettono lì e costruiscono con la pazienza del lavoratore, il loro pezzo; con le regole che hanno imparato per fare bene il loro lavoro, un pochino di colore in più qui per dare più espressività al viso di maria addolorata, una voce in più nella fuga e magari con inversione per fare vedere quanto ho lavorato bene e magari ci metto anche un giochino matematico dentro così poi i miei amici si divertono a scoprire tutti gli enigmi che ho nascosto dentro la partitura. dei bravi artigiani, come peraltro loro stessi si ritenevano.

a me, però, quando vedo una maria col bimbo in braccio, mi viene sì da dire Che bella, guarda che espressione, guarda che bel colore, sembra quasi vera. e non tolgo nulla al talento dell'autore. ma cosa c'è sotto? che mi importa se sembra vera? è stato bravo, sì, ma cosa vuole dirmi..è qui il punto, non vuole dirmi proprio nulla: gli hanno chiesto quella madonna, e lui l'ha fatta, nel modo migliore che poteva, punto. e così per bach. sono tanto ben fatte e belle, quelle madonne, che sembrano quasi vere, reali. ma c'è un solo vero punto di forza che rende un 'manufatto' che voglia dipingere la realtà tale e quale la vediamo, un qualcosa di artistico: è il soggetto. i registi italiani del dopoguerra facevano film che descrivevano la realtà dell'italia di quel tempo..e facevano arte per quel che sceglievano di rappresentare, per quel pezzo di mondo che sceglievano di illuminare con il loro occhio...e non per il realismo. il realismo in sé non dice un bel nulla. verga, un altro realista, descriveva pari pari delle vicende con gli occhi allo stesso livello di chi le viveva: anche qui il punto di forza è cosa verga sceglieva di raccontare, è in quella scelta che il realismo diventava arte. ma se io dipingo una deposizione e sono così bravo da dipingere cristo come se fosse vero..cosa dò a voi che guardate? niente, se non un Oh che bravo.
Non fraintendete, la bellezza è molto importante, in tutte le cose. ma nell'arte, non è *fondamentale*. è fondamentale che ci sia un'emozione che ci ribolle sotto la pelle quando guardiamo un quadro, un qualcosa da dire sotto, dietro quello che c'è disegnato. magari non esplicito, ma nascosto in modo che la parte profonda di noi venga colpita, appunto, da un'emozione. se pensate, tanto per fare un esempio estremo, al _man in military cap_ di bacon, capite a cosa mi riferisco. e _man in military cap_ è brutto, è ovviamente un brutto quadro. ma ci smuove qualcosa, ci urta, ci spaventa. ed è questo che lo rende -secondo me, intendiamoci- qualcosa di profondamente diverso da una stupenda e candida statua di canova, che è appunto tanto bella, ma muta. io chiamo arte il primo, ma non la seconda.

per la musica sono più o meno della stessa opinione. bach ha fatto delle cose stupende, molto complicate, dei veri capolavori di architettura musicale (dice chi se ne intende). ma a me sembra tutto freddo. ascolto, penso che è molto bella...e basta. chopin, beethoven, mahler.. mi dicono molte più cose, anche se la loro musica non è così perfettamente costruita e complicata (forse anzi proprio per questo), mi sembra di sentire quello che volevano metterci dentro a quello che scrivevano, quello che c'è sotto. in bach sento solo tanta tanta bravura.


domenica 26 febbraio 2012

dalle stalle alle stelle

- ma fregatene di quello che pensano gli altri! se ti dicono di buttarti nel fosso ti ci butti?
- no, ma se mi spingono ci cado.

perfetta. non è mia eh. è presa da questa commedia. è una commedia dialettale, da ridere. ora non ne sono più molto convinto (sono un tipo dalle pochissime convinzioni. e quelle che ho, le dimentico tutte) ma quando ero lì a vederla, pensavo che quella roba lì era molto più forte, in tutti i sensi, di qualsiasi ricercata profondità o intellettualismo. semplicemente perché --volendo-- fa pensare ugualmente (anzi, più lucidamente, senza troppo fumo negli occhi) e poi --appunto-- fa ridere, che non è per niente poco.
ma non servono molte più parole, quelle due battute qui sopra spiegano giù tutto.