giovedì 4 dicembre 2008

una nuova definizione di grandezza

If you want to be important, Wonderful
if you want to be recognized, Wondeful
if you want to be great, Wonderful
but recognize that he who is greatest among you shall be your servant.
That's a new definition of greatness.

And this morning the thing that I like about it: by giving that definition of greatness it means that everybody can be great, because everybody can serve.
You don't have to have a college degree to serve;
you don't have to make your subject and your verb agree to serve;
you don't have to know about Plato and Aristotele to serve;
you don't have to know Einstein's theory of relativity to serve;
you don't have to know the second theory of thermodynamics in physics to serve;
you only need a heart full of grace,
a soul generated by love...
and you can be that servant.
Martin Luther King Jr.

Discorso tenuto alla chiesa battista Ebenezer, Atlanta, Georgia, 4 February 1968


Il testo integrale, con tanto di audio (solo un pezzetto però), è qui , ma vi avviso, è un po' lunghino.

lunedì 24 novembre 2008

Large Hadron Collider

Ha fatto parecchio rumore circa due mesi fa la partenza ufficiale di LHC, il mostruoso acceleratore di particelle europeo, al CERN di Ginevra.
Lasciando perdere il fatto che dopo pochi giorni di prove (da quanto ho capito, potrei sbagliare) qualcosa è andato storto, per cui si dovrà aspettare ancora prima di dare il vero via agli esperimenti, volevo spendere due parole analizzando la cosa un po' al di sopra delle parti.

LHC è, per farla in breve, un enorme anello (lungo 27 km) nel quale vengono iniettati fasci di particelle col fine di farli scontrare tra loro. La cosa importante sono i prodotti di questi scontri. Ci sono teorie che da decine di anni si basano su ipotesi che LHC potrebbe corroborare, oppure no. In entrambi i casi LHC avrebbe successo.
Tra le teorie in esame (di nuovo, per quel che ne so, e - vi assicuro - è davvero poco poco!) quella che sta lì da più anni di tutte e, soprattutto, quella che tiene in piedi completamente l'attuale modello con il quale i fisici oggi spiegano (male, ma incredibilmente bene - ossia il modello ha una marea di problemi e incongruenze, questo è il "male", ma riesce a dare ragione di cose assolutamente impensabili, le sue previsioni sono state verificate fino ad un'accuratezza impressionante; in definitiva: il modello non spiega tutto, ma spiega molto) la natura, è il (famoso - per gli addetti ai lavori, ma non solo) bosone di Higgs.
Se LHC non dovesse trovare tra i prodotti delle collisioni suddette questa particella (che, lo ripeto, è prevista dal modello e ne è un tassello importante) larga parte della fisica delle alte energie subirebbe davvero un bruttissimo colpo.

Ma non era mia intenzione fare divulgazione su LHC, il punto che vorrei toccare (diciamo sfiorare, che è meglio) risponde grossomodo alla seguente domanda? Davvero è utile spendere così tanti soldi per fare collidere particelle e vedere se salta fuori il bosone di Higgs?

Ovviamente l'argomento è immenso, direi quasi sconfinato, oltre che spinoso (per cui invece che sfiorare, forse è ancor meglio guardare da lontano). Facendo una brevissi(missi)ma ricerca, ho trovato che i finanziamenti ufficiali per LHC sono stati di 2.6 miliardi di euro.
Effettivamente detto così fa un po' spavento, ma se valutiamo che il costo va spalmato su un perido di 11 anni, che il budget stimato per le olimpiadi di Londra 2012 è di (attenti al botto) 11 mld di euro, (non voglio nemmeno citare il presunto costo della guerra in Iraq) forse il vostro spavento iniziale si ridimensiona un attimo.

Ma il punto non è nemmeno (non solo per lo meno) i soldi. Il punto è - detto come si deve: ma con tutto quel che c'è da fare di veramente utile, c'è proprio bisogno di tante energie spese per questo (passatemi il termine) giochino?

A mio avviso, la parola chiave - quella su cui si scivola - è "utile". Che significa utile? Possiamo intendere l'utilità solo dal punto di vista prettamente pratico: che so, il muratore è utile, l'ingegnere è utile, l'elettricista è utile, il bancario è utile...nel senso che producuno qualcosa di necessario nell'immediato, come case, automobili, conti correnti e così via.

Da questo punto di vista, LHC non è utile.

Poi c'è un'utilità più timida, quella assolutamente non immediata, ma comunque pratica a lungo termine.
Da questo punto di vista, LHC potrebbe (con buone probabilità) essere utile: quasi tutte - tutte, che io sappia - le innovazioni, i passi avanti nella conoscenza fisica (o biologica, o chimica, ecc...) della natura hanno portato a qualcosa di utilizzabile in maniera pratica. Gli esempi che mi vengono in mente sono internet (che fu inventato proprio dai fisici del CERN), ma non è proprio attinente. Lo è molto di più la Risonanza magnetica, assolutamnte impossibile da concepire senza la Meccanica Quantistica, o ancora il laser, o perché no, i semiconduttori e quindi tutta la moderna elettronica....e chi più ne ha più ne metta.
Le scoperte che (forse) farà LHC hanno la potenzialità di aprire intere nuove aree del sapere, e davvero non si può sapere quali applicazioni pratiche questo avrà...ma di certo c'è questa possibilità.

Un ultimo livello di utilità cui volgio accennare, fa un po' a pugni con l'aforisma del post precedente, ma solo sintatticamente.
L'utilità di (semplicemente) conoscere l'universo.
Questa utilità è molto più timida delle altre, tanto che spesso (quasi sempre) viene chiamata inutilità, ma io non sono d'accordo.

Voi sareste disposti (ad esempio) a non sapere che vivamo su un pianeta che ruota attorno ad una stella, ai margini di un agglomerato (impressionate) di stelle che tutte assieme viaggiano nello spazio? Sareste disposti a non sapere che tutto è composto da piccole unità di materia che si legano assieme a formare quello che vediamo? Ritenete che queste conoscenze siano inutili alla vostra vita?

Io credo al contrario che siano impagabilmente utili, più del computer e del frigorifero. Utili quando ci si ferma e ci si guarda attorno e si pensa; utili quando la sera si alza la testa verso il cielo e per un attimo ci si dimentica di quello che si deve fare cinque minuti dopo, o la mattina dopo, o il mese dopo; utili quando ci capita di allargare sempre di più il punto di vista su di noi, sugli altri, sulla vita - un po' come lo zoom in google earth: inziamo a non distinguere i nomi delle città, si perdono piano piano i confini delle regioni, poi degli stati; ma poi incomiciamo a vedere la forma dei continenti, dei mari.
E' un'utilità non pratica e difficilmente vendibile, ma più importante, perché non serve fuori, ma dentro di noi.



Anche se non c'entra molto o per niente, concludo con una frase di Russell, che mi piace da matti:

Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi

Ora torno a studiare. Se lo avessi fatto invece di stare qui a scrivere, forse avrei scritto più pertinentemente (si dice?) su LHC (mi sa che questa frase è un non-sense).

Alla prossima!!!

mercoledì 1 ottobre 2008

ancora Ipse dixit (titolo mai così azzeccato)

Giusto per sedare la vostra sete di nuove cose da leggere su questo blog, nell'attesa di un post più "corposo", vi tengo buoni con il seguente pensiero (che mi pare mi abbia suggerito mio fratello):


La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile
Aristotele

Vorrei focalizzare l'attenzione non tanto sulla filosofia, ma soprattutto sul rapporto nobiltà-servitù del sapere.
In effetti come frase suona bene, ma qual è quell'aforisma che non pare giusto ad una lettura superficiale? In effetti è questo il punto debole degli aforismi: che sono frasi ad effetto, pensati per "suonare bene" più che per dire il vero. Quindi bisogna analizzarli bene prima di giudicarli.

Voi che ne pensate? E' giusto dire che uno studio che non serve a nulla è per ciò più nobile? Cosa si intende poi con nobile? Diciamo che a me pare tanto un modo di auto-convincersi che non stava completamente perdendo il suo tempo.

giovedì 11 settembre 2008

Dai vota!

Ecco un post che in pratica non parla di nulla!
Volevo semplicemente richiamare la tua attenzione sul sondaggio che sta qui a destra (se vai un pochino giù lo vedi, ma magari aspetta, che prima ti spiego un po' di che si tratta).
Ho messo due jukebox (si scriverà così poi?!), sì due..è proprio questo il punto: quale ti piace di più? Ti spiego le differenze: il primo riproduce le canzoni solo casualmente e non si possono mettere più di tre canzoni per autore; nel secondo sì e perciò è molto più comodo, però - secondo me almeno - è proprio più bruttino e poi non si riescono a visualizzare bene i titoli completi delle canzoni! (Ti faccio notare che nel secondo ci sono molte meno canzoni che nel primo, ma questo è solo perché ancora non ho avuto lo sbattimento di aggiungerle!).
Che ne dici? Ora vai pure a votare, è un tuo diritto!

martedì 2 settembre 2008

In risposta a "cosa fare da grandi"

Questo è un post di risposta ai commenti a questo argomento.
Ho deciso di aprire una nuova discussione, altrimenti nessuno si sarebbe accorto dei commenti.

Passiamo alla replica al commento di mio fratello, che riporto qui, sia per chiarezza e anche perché merita


Fratellino, vedo che il tema ti fa proprio soffrire eh?

La sostanza non cambia dal tuo topic sulle vacanze e mettere "la testa fuori dall'acqua".

Quello che dici tu è vero quasi del tutto: in effetti la nostra esistenza è una specie di sopravvivenza: si deve pur mangiare, vestirsi, uscire, andare al cinema, ecc... e quindi dobbiamo lavorare per avere una base economica che ci permetta di "sopravvivere" in questo mondo.
Ed è chiaro che "lavorare" non piace in sostanza a nessuno... almeno se la vedi come fai tu.

Il termine stesso "lavoro" implica sforzarsi (forza x spostamento, no?), implica sofferenza psicologica, implica alienazione della mia vita 8 ore al giorno (x la cronaca: non lamentatevi, c'è chi ne lavora circa 10 al giorno... chissà chi è ? :))

Il punto è che è la base da cui parti che la devi risvoltare... Per fortuna che si lavora! Se tu non fossi occupato per la maggioranza della tua "vita" nella tua professione (detta così già suona meglio) arriveresti inevitabilmente prima o poi ad una depressione totale, fidati!
Essere occupati ti impedisce di pensare e pensare troppo non fa mai bene. Pensare troppo alla vita in sè dico, a noi come essere umani... E sai xchè? Perchè + pensiamo e + ci rendiamo conto che non c'è nulla al di là del famoso "... e poi?", non c'è un di + al di là di tornare a casa ed essere contenti di vedere il fratello o la sorella o i genitori o il cane, non c'è un di + al di là di aspettare il fine settimana x riposarsi e vedere che, tuttosommato, è + deprimente il fine settimana della settimana stessa, non c'è un di + al di là di un bel film alla sera, al di là si una bella dormita quando fuori piove.

Ogni professione può essere odiosa: un buon punto x partire è cercare di averne una che ci stimola e ci appassiona. Se non è così sforziamoci di renderla tale il + possibile.
Fatto questo cerchiamo di capire che il "lavoro" non ci toglie nulla di così bello dalla vita: i momenti che dedichiamo ad altro sono già sufficienti x farci precipitare in depressione spesso e volentieri.

Poi dedichiamoci ad una passione ex-lavoro, ad una qualsiasi cosa che ci piaccia: io mi dedico al mio fisico e la cosa mi forma il corpo e la mente, mi da disciplina, mi da autostima, mi da coraggio.
Voi trovate la vostra di ancora...

Quindi, da veri guerrieri, coraggio, passione e successo: questo è tutto quello che ti serve e che avrai se parti col piede giusto.

E come disse un filosofo non proprio stupido (F.W. Nietzche): "Quanto manca alla vetta? TU SALI E NON PENSARCI"


Ok ok...la risposta mi piace è piuttosto soddisfacente..e poi se lo dice Nietzsche :D
A parte gli scherzi, l'osservazione è senza dubbio giusta: il lavoro diventa la vita, o comunque aiuta a vivere, se non ci fosse si andrebbe in depressione subito...aspetta, è questo il punto che cede, che stona un po'.
Cioè se io penso alla vita, a quello che faccio ogni giorno, uso la mia testa per cercare di trovare un qualche punto fisso, rassicurante..se faccio tutto questo cado in depressione. Beh, non credo che il rimedio giusto sia quello di non pensarci!!!
Mi viene in mente la solita battuta: babbo babbo, mi fa male quando mi tocco qui...e tu non toccarlo!
Si capisce bene che non si risolve nulla, tanto più se il problema è serio - e questo credo lo sia eccome.

Però è comodo fare così, è comodo e quasi inevitabile..farsi trasportare dalla corrente, piuttosto che nuotare verso riva e cercare di capire.

Di nuovo (l'ho già fatto, ma non ricordo dove) consiglio in merito

La Confessione, Lev Tolstoj

o forse sconsiglio, dipende se siete facile alla depressione o meno.
Ciao a tutti!!


martedì 26 agosto 2008

Una sorta di ritorno a casa

Bene...Voi tutti vi aspettate senz'altro un bel topic di resoconto dell'Agosto passato nell'isola di San Pietro...ci sarà (forse), ma non è questo il topic.

Questo vuole essere un topic (prometto che non lo dico più - almeno per questo topic ...azz!!) più riflessivo.

Sapete, dopo ogni vacanza che si rispetti c'è un periodo strano, un periodo nel quale si è tornati con il corpo, ma non con la testa; nel quale si è un po' sospesi. Sospesi ovviamente tra le abitudini di vita ormai raggiunte durante la vacanza (specie se è lunga) e il riprendere i "normali" ritmi...ma secondo me c'è di più.
La vacanza è un modo per guardarsi (e per guardare in generale) "dall'alto", distaccati da quella che è la vita pratica che conduciamo ogni giorno; non solo, spesso costringe anche a distaccarsi completamente dalla vita sociale in genere, intendendo con ciò il concetto di alzarsi la mattina e avere qualcosa da fare: un lavoro qualsiasi, un esame da preparare, un appuntamento con qualcuno, ecc... Tutte cose che si fanno perché si devono fare. "Devono" nell'ottica, appunto, di una qualche utilità sociale, sulla quale ci si sofferma sempre poco, proprio perché ne siamo parte, come sommersi.
La vacanza ci fa alzare la testa fuori dall'acqua...e da lì sembra tutto molto poco sensato. Questo, credo, è quello che mi dà quel sentimento di sospensione cui accennavo: vedere i giorni della vita seguirsi uno dopo l'altro, collegati in maniera che sembra molto naturale vista dall'interno (mi alzo, vado a lavorare, vado a fare la spesa, esco con gli amici, vado a dormire, mi alzo, vado a lavorare, vad...), direi quasi invitabile, anzi - ancor di più - giusta...come gli anelli di una catena. Ma quando li si guarda da più lontano, si vede che la catena non serve a un bel niente...sono solo una serie di anelli collegati, senza alcuna utilità.
Quindi, al ritorno, quando si è costretti a rimettere la testa nell'acqua e a trattenere il respiro, ci vuole un po' per dimenticarsi quello che si era visto da fuori...ma, prima o poi, lo si dimentica.

mercoledì 16 luglio 2008

nel paese dei balocchi (IV)

Ecco qua, a sorpresa, la quarta (e ultima?) puntata della serie "nel paese dei balocchi".
Purtroppo la memoria sul viaggio inizia gia' a vacillare, non sono piu' nella fase post-sbornia (la "ressaca") da viaggio, dunque devo sbrigarmi a scrivere almeno questo post!

Vi avevo promesso che avrei parlato di assuefazione, altrimenti detto coffeshop. Beh, per vostra grande delusione, non e' che ci sia molto da dire! Nella mia idea di Amsterdam non c'e' molto posto per gli spinelli... ci sono molte bicilclette, tanta acqua (non dal cielo), tante costruzioni che sembrano di lego, i tram azzuri che vanno a sassetta (qui una parentesi e' d'obbligo: gli olandesi non sanno guidare! sia gli autisti del tram che dell'autobus vanno veramente forte e fanno delle curve micidiali, ho rischiato di farmi male piu' di una volta) e suonano la trombetta, tante signorine in intimo dietro porte vetrate e, dopo molte altre cose, vengono i coffeshop. Se ne vedono parecchi in giro per la citta', spesso pero' bisogna porprio guardare attentamente l'insegna per vedere che da qualche parte c'e' scritto "coffeshop", altrimenti si scambiano per normali bar (non tutti ovviamente).
Di quando in quando passeggiando (o pedalando) per le strade (in tutte le strade, anche nei quartieri piu' "turistici") si sentivano ventate inconfondibilmente "inebrianti", cosa che non ti capita di certo in altre citta'.
Siamo anche entrati in uno di questi, uno dei piu' carini. Si chiama Buda, o Baba... che vi dicevo della memoria?! Insomma, dentro c'era gente normalissima (come mi aspettavo d'altra parte) che beveva e fumava. Ci siamo seduti, un po' incerti sul da farsi (verra' il "cameriere" - ci chiedevamo - o dobbiamo andare noi?) poi sono andato al banco e ho preso uno spinello di marjuana - 3.50 euro, pensavo di piu' - (la ragazza - peraltro gentilissima - mi ha accennato qualcosa su hashish e altre cose che non saprei ripetere, ma non ho osato tanto). Non avevamo nemmeno un accendino, l'ho dovuto chiedere ad un ragazzo seduto di fianco a me.
Una volta finito di fumare (io ho buttato fuori tutto il fumo...come si puo' vedere dalle foto qui a lato, sembra che vada a fuoco qualcosa...non sono proprio capace!) ce ne siamo andati...diciamo che preferisco una bella birra fresca!

Questo e' tutto, direi, su assuefazione & co. Vorrei invece intrattenervi un po' su usi e costumi di Amsterdam.
In qualsiasi strada, stradina, piazza e chi più ne ha più ne metta, c'è un qualche caffè o ristorante, o barachina di aringhe (rigorosamente crude! è una specialità olandese; l'ho anche provata, non è male), insomma un posto dove si mangia.
Gli olandesi non muoiono certo di fame! Nonostante questo, non abbiamo trovato nemmeno un ristorante "olandese"...sono tutti tipici di altre zone: italiani (ovviamante), una marea di ristoranti argentini e brasiliani (dove si mangia ottima carne!), molti messicani (ero in uno di quelli quando la Spagna ha vinto gli europei, sembrava di essere in Spagna, non in Olanda), qualche greco e cinese e, soprattutto, molti indonesiani, retaggio del glorioso passato coloniale della corona olandese. Devo ammettere che il cibo indonesiano non mi ha convinto per niente! Sono felice di averlo sperimentato, ma faceva proprio schifo! Tutto pieno di polvere di cocco,e altre cose dolciastre che rovinanvano completamente la base (riso e carne, che di per sè potevano essere buoni).

Pochissimi invece sono i negozi di abbigliamento, probabilmente ce ne sono più a Imola che in tutta Amsterdam. Abbiamo visto solo una strada (e non è una delle più "battute") dedicata - per così dire - ai negozi, per il resto c'è solo un grande magazzino sulla Damrak (l'arteria principale) e poco altro.
Per altro i negozi erano in uno stato veramente pietoso, incivile direi. Va detto che era periodo di saldi, ma sembrava che fossero passati i barbari: i vestiti erano più in terra che nei porta abiti (davvero, non sto esagerando). Scarpe sparse dappertutto, gente che pestava (quasi inevitabilmente) vestiti...e, la cosa che più mi ha colpito, i commessi si comportavano come se fosse tutto a posto, stavano lì con le mani in mano. Ho pensato seriamente che fosse una "usanza" olandese, quella di distruggere i negozi per i saldi....bah..proprio strani questi olandesi!

giovedì 10 luglio 2008

nel paese dei balocchi (III)

Bene bene, mettetevi pure comodi sulle vostre sedie, appoggiatevi allo schienale (se l'avete e se riuscite a leggere da quella distanza, altrimenti mettetevi gli occhiali) e preparatevi alla lettura.

Girando per le strade di Amsterdam è impressionante come, per andare in un certo qual luogo preciso, ci si ritrovi a passare da parti che si ritenevano "lontane". Ho già avuto modo di discutere questa particolarità, dovuta fondamentalmente a quattro fattori: 1 la città non è poi così grande, anzi è piccola se paragonata alle grosse capitali come Londra e Parigi; 2 non bisogna sottovalutare la potenza della bicicletta, a piedi sarebbe stato tutto un altro mondo; 3 c'è caso che sia solo una mia sensazione, magari altri non sono della stessa opinione; 4 solitamente quando si va a visitare una grande città si utilizza la metropolitana, la quale è sì molto comoda, però è tutt'altro che suggestiva e, soprattutto, ti impedisce di renderti conto di quello che ti sta passando sopra la testa.

Tutto questo macchinoso parlare serviva solo come introduzione al fatto che durante i miei giorni ad Amsterdam c'era un quartiere che più di altri aveva questo strano effetto di attrattore. Credo che abbiate già indovinato: proprio lui, il quartiere a luci rosse, o quartiere rosso o Red Light District. Non sto scherzando; nonostante sia piuttosto contenuto come dimensioni, ci capitavamo sempre dentro: pedalavi tranquillamente lungo un canale, quando ad un certo punto notavi la tipica "vetrina a luci rosse". Si tratta semplicemente di una casa come le altre (anche se le case ad Amsterdam sono già particolari di per sè) a parte il fatto che c'è una vetrina (sì sì, come fosse un negozio) che può essere sia ad altezza strada che ad un piano leggermente rialzato. Di fianco a questa vetrina c'è anche una porta completamente vetrata, e solitamente è proprio dietro questa porta (che spesso è pure aperta) che sta l'inquilina - anche in pieno giorno. Alcune le vedi sedute che mangiano, altre al telefono, la maggior parte sono appiccicate alla porta che ti guardano e si muovono da p... insomma quel che sono - il tutto rigorosamente in intimo. Dietro si scorge un letto (gli strumenti di lavoro) e un bagno.

L'atmosfera della situazione è molto surreale (per chi avesse seguito la prima puntata, faccio notare che questo è perfettamente in linea con tutto il resto che la città ha da offrire), sembra davvero di essere nel paese dei balocchi. Tra una vetrina e l'altra spuntano sexy shop sovraffollati, coffesh negozi di preservativi a tutti i gusti e misure e nel bel mezzo del quartiere - udite udite - è incastonata la Oude Kerk (la chiesa vecchia) un gioiellino di gotico nord europeo, tanto per non andare fuori tema.

La zona non è affatto mal frequentata. Sì, diciamo che c'è un leggero sbilanciamento demografico verso la popolazione maschile tra i 20 e i 40 anni, ma non di tanto, ci è pure capitato di vedere dentro a un sexy shop una coppia di (a dir poco) vecchietti che discutevano su quale dvd (ovviamente porno, che ve lo dico a fare) comprare.

Comunque il pezzo forte e più folkloristico (forse non lo ho sottolineato abbastanza: l'atmosfera è talmente surreale che prevale l'aspetto folkloristico su quello volgare) del quartiere rosso: le strade trasversali ai canali. Sono stradine piuttosto strette (e ce n'è una davvero stretta, dove si passa a piedi a fatica - ma, ahimè, non ci sono passato) ai cui lati ci sono solo vetrine (con relative porte) di signorine che ti guardano e cercano di "abbordarti". Alcune sono "al lavoro", il che si deduce dalla tenda rossa che copre completamente la visuale (e ci mancherebbe altro!).


Insomma, la conclusione è che il quartiere rosso è forse l'apoteosi di assurdità di una città completamente sopra le righe. Non solo, la città ha anche una strana proprietà di assuefazione: la prima volta rimani molto colpito dalla situazione surreale, ma te ne abitui davvero molto in fretta; quasi come se fosse roba di tutti i giorni che, passeggiando per una città, ti capiti di vedere una ragazza in intimo che ti guarda da dietro un vetro e ti fa segno di entrare.


Per quel che riguarda l'assuefazione, avrò qualcosa da dire nella prossima puntata!
Hasta la vista.

lunedì 7 luglio 2008

nel paese dei balocchi (II)


Eccomi qua con la seconda e tanto attesa parte del viaggio nella Venezia del Nord.

Nella prima parte ho tralasciato un punto fondamentale, che ha caratterizzato i miei giorni tra tutti quei canali: non riuscivo (e dubito di esserci riuscito at all ) a capire come fosse girata! Avevo la piantina e ben tre guide, ma proprio non riuscivo a venirne a capo. Il fatto è che non è come la maggior parte delle città, con un bel fiume nel mezzo, i quartieri centrali accostati al fiume e al di là i quartieri periferici (tanto per non generalizzare). La città è sul mare (in realtà non proprio, è un po' come New York, con una serie di isolette che la separano del mare - che ancora non è il mare del Nord, dato che è a sua volta separato da quest'ultimo da altre isole) e ogni volta che serviva più terra veniva scavato un canale a semicerchio: la città è così cresciuta radialmente. I quartieri però, non sono radiali, anzi hanno confini piuttosto confusi per cui non riuscivo mai capire in quale quartiere fosse la tale cosa e se fosse o meno lontana dalla tal altra. Insomma, sarò ritardato io, ma anche con una piantina sotto gli occhi, faticavo ad avere la città "sotto controllo".

Detto cio' potete ben immaginarvi il casino che ho fatto andando in bicicletta: mi pare di vedermi, in sella alla mia bicicletta, con mia sorella sempre davanti e che sembrava avere un appuntamento vitale dopo 2 minuti. Per cui io, con la guida e la cartina in mano - non chiedetemi come facessi, anche se un aiuto era il fatto che il freno fosse a pedale, cioe' si frenava pedalando all'indietro...non eccezionale per chi non e' abituato, ma molto comodo se si hanno le mani occupate :) - dovevo rincorrerla, guardare i nomi delle strade (molto complicato a velocita' superluminali) e rintracciarli nella cartina per capire dove diavolo stessimo andando. Come se non bastasse in tutto questo dovevo anche preoccuparmi di voltarmi indietro ogni tanto, per vedere se il puntino all'orizzonte potesse assomigliare a mia mamma, e stare (molto) attento ai ciclisti olandesi che, per quanto andassimo forte, non mancavano mai di suonarci e superarci (ma come facevano?!).

Immancabilmente mi capitava di capire solo molto dopo che in realta' due posti in due quartieri diversi e che pensavo molto lontani (o comunque idealmente separati) erano in realta' a poche pedalate di distanza.
Per cui spesso i miei programmi giornalieri duravano molto meno del previsto!
La conclusione e' stata che la citta' e' in realta tutto sommato piccola (o almeno lo e' la parte turisitica) e' che e' proprio a misura di bicicletta (ma non andateci mai con mia sorella!).

Ma sono sicuro che voi stavate aspettando la parte sul quartiere rosso e i coffeshop. Beh, direi che saranno senz'altro argomento della prossima puntata (mi piace sfruttare la suspense!)..ormai ci ho preso la mano, chissa' che non ne nasca un telefilm (o serie o come diavolo si chiamano oggi).

Stay tuned!

venerdì 4 luglio 2008

nel paese dei balocchi

Post dedicato a qualche commento al testè concluso viaggio ad Amsterdam.
Se ce la faccio metto pure qualche foto qui a lato...se non le vedete significa che sono stato sconfitto dal computer.

Che dire della Venezia del Nord (a dire il vero non è che mi abbia ricordato molto Venezia... lo so che c'è l'acqua, i canali e tutto il resto, ma l'atmosfera non è quella e, cosa fondamentale, a Venezia le case sono direttamente sull'acqua, mentre ad Amsterdam ce ne sono poche poche così, c'è un normale argine dei canali) : la primissima impressione, proprio appena usciti dalla stazione centrale (anche se ci si va in aereo, poi si deve prendere il treno, dato che Schipol - l'aeroporto - è fuori città) è di entrare a Disneyland. La stazione (come molti altri edifici d'altronde, anche perché l'architetto che ha fatto la stazione pare abbia fatto mezza Amsterdam) sembra proprio il castello della bella addormentata, e - tra l'altro - sembra fatta di lego, con tutti quei mattoncini piccoli e quadrati...e poi le strade: vi giuro che non ho ancora capito cosa, ma c'è qualcosa di strano in quelle strade. Forse il fatto che raramente ci sono le righe bianche, o forse che spesso sono di uno strano colore (tipo terra rossa), o forse che hanno degli spartitraffici piccoli e dello stesso colore della strada che a stento si distinguono... non so cos'è, ma c'è qualcosa che le rende finte. Insomma, ho avuto (e non solo io) la netta sensazione di stare passeggiando nell'Italia in miniatura.

Detto ciò la città è davvero carina, e neanche tanto grande (per lo meno il centro), è più o meno tutto a portata di piedi, anche se è stato molto più divertente girare in bicicletta: lo so che già lo sapete, ma lì tutti vanno in bicicletta, dal gruppo di ragazzi, al lavoratore del lunedì mattina, al manager con giacca e cravatta e con tanto di ventiquattrore nel portabagagli, proprio tutti. Tutte le strade hanno una pista ciclabile (non tutte ahimè hanno i marciapiedi!) che peraltro sembrano avere vita propria: spesso non seguono la carreggiata principale, la attraversano più volte, la lasciano in vari punti per poi reimmettersi...sono simpatiche insomma.
Se doveste mai fare un giro in questa città non preoccupatevi tanto delle macchine: state attenti alle bici (e ai tram, anche loro vanno a sassetta). Il campanello è il suono caratterisitico delle strade di Amsterdam (insieme, di nuovo, al particolare suono della trombetta dei tram, è uno strano suono, quasi rassicurante; anche in questo c'è qualcosa di favoleggiante), si sente in continuazione; un po' come il clacson a Napoli.
Il punto è che proprio se ne fregano di macchine e soprattutto dei pedoni (spesso anche dei semafori) : le bici sono le regine della strada.

Finito il capitolo bici, apriamo il capitolo olandesi. Essendo un popolo nordico, mi aspettavo una città super ordinata. perfettina pulita: e infatti è così. No, scherzavo. In effetti voglio proprio dire che la città non è pulita (non che sia particolarmente sporca, solo non spicca per pulizia) e che l'organizzazione non è il suo forte: diciamo che ci sono una serie di cose "all'italiana" che non mi sarei aspettato di trovare così a Nord.
Però gli olandesi sono simpatici (non ne abbiamo incontrati molti ad Amsterdam, è davvero una città multietnica), tutti veramente molto gentili e disponibili, sembrano quasi timidi.

Bene, ci sarebbero tante altre cose da raccontare (tra le più gettonate ci sono senz'altro il quartiere rosso e i coffeshop), ma ho già scitto molto - leggi "troppo" - e non vorrei stancarvi oltre - leggi "non ho più voglia di scrivere". Alla prossima puntata!

martedì 10 giugno 2008

Essere o non essere... religiosi

Con i piedi felpati (ma poi non tanto) voglio tornare sull'argomento (molto) spigoloso detto Religione. La domanda guida del ragionamento e'

"e' sufficiente il fatto che il pensiero dell'esistenza di un Dio buono ecc... ci faccia sentire sereni, felici, rassicurati, perfino convinti della giustezza del pensiero medesimo, e' sufficiente questo per poter essere religiosi?"

Ricorderete che in un post precedente (lo trovate qui) ero arrivato alla (personale, ma molto sentita) conclusione che l'unica religiosita' che possa esistere deve essere di tipo fideistico. Con questo intendo che una persona razionalmente capisce che non puo' emettere giudizi, non puo' essere sicuro di nulla, in una parola non puo' "credere"; mentre lo puo' fare con una specie di volo pindarico, un salto nel vuoto, accettando di non cercare spiegazioni, ma semplicemente di vivere secondo religione e capendo dalla vita stessa che questa e' la vera vita, la giusta vita.

Tornando ora alla domanda, e' dunque sufficiente sentirsi religioso per poterlo essere? Non c'e' forse comunque una parte della testa che ti dice "guarda che questa convinzione interna che hai, questa serenita' che senti vivendo religiosamente non e' indice della rettezza della via che stai percorrendo, ma solo della comodita' di tale visione" (ma come parla questa parte della testa? Ditegli che siamo nel 2008!).

Qui casca l'asino! (almeno il mio). Ci sara' sempre la ragione a fare da guasta feste alla religione, non e' cosi' semplice disaccoppiarle e farle stare in due stanze diverse, dopo tutto la testa e' una sola (si spera).

Questo e' il punto in cui il mio ragionamento si ferma. Non trovo strade per andare avanti, sono bloccato qui. Magari potete aiutarmi voi?

Intanto voglio consigliarvi un libro (ehi potrei aprire una rubrica "libri consigliati", magari ci penso eh), da cui sono tratte piu' o meno tutte queste cose:

La Confessione, L.N. Tolostoj

come suggerisce il titolo, si tratta di una specie di monologo interiore dell'autore, che racconta della profonda crisi spirituale che lo ha "colpito" e gli ha cambiato totalmente l'esistenza.
Purtroppo non e' molto facile da trovare in libreria, pero' si trova su internet (anche se leggere sul pc non e' proprio comodo comodo).

Ciao a tutti!!

martedì 3 giugno 2008

I Limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
piú chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.

Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.

I Limoni (Ossi di Seppia) - E. Montale

Bene bene, copiando spudoratamente da questo blog (che ho trovato casualmente sulla rete), copiando - dicevo - da quel blog, ho deciso di incominciare questa nuova rubrica che ho intitolato molto originalmente (si dice 'originalmente'? bah?!) "Angolo poetico" (si cercano nomi migliori per cui buttatevi pure)...mi sono di nuovo perso, devo smettere di fare parentesi. Allora stavo dicendo che ho iniziato questa nuova rubrica, che ha come oggetto delle poesie. Poesie che mi piacciono particolarmente, ma ne metterò (forse - niente da fare, le parentesi mi attirano proprio) anche di quelle che non mi piacciono particolarmente (cioè che mi fanno schifo) tentando di spiegarne il perché. Chiaramente l'idea sarebbe poi di esporre cosa (non) mi piace di quella poesia e di avere commenti in riguardo (magari!).

Dopo questa dichiarazione veniamo a "I Limoni"
Spero che prima di essere arrivati qui abbiate letto attentamente tutta (non un po' qui e là, magari saltando qualche verso, intendo proprio tutta) la poesia.
Vorrei soffermarmi sulle ultime due strofe (non voglio scrivere un tema, voglio solo spiegare cosa mi interessa particolarmente di questa poesia).

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.

Non è capitato anche a voi? In momenti in cui non state facendo nulla di particolare (lo so non ne avete molti, ma ogni tanto vi capiterà) la testa incomincia a "girare" per i fatti suoi e va ad incunearsi in pensieri "sopra le righe" per così dire; non si sofferma su "devo assolutamente comprare lo shampoo, che l'ho finito" e nemmeno su "porca ... - oppure beep se preferite, il concetto è una parola poco carina, qualsivolgia - non ne ho per niente voglia di andare a lavorare, me sto qui sul divano a dormire", attimi, istanti nei quali sembra quasi di essere lì lì per capire, per stracciare il "velo di carta" e dire "ecco, finalmente ho scoperto il trucco!", il senso delle cose...o meglio, non tanto il senso delle cose, quanto un punto fermo, una certezza, uno scoglio sicuro nel mare dubbioso e scivoloso dell'esistenza.
Sono attimi illuminati, come una fotografia, un flash sul mondo che però è subito andato e la vita ci re-inghiotte con il pensiero del domani, di cosa mangiare questa sera, dei jeans da comperare, delle cose da fare...da fare ma senza aver capito perché e, questo è il vero dramma (o forse la fortuna, altrimenti saremmo già da tempo più che estinti) senza nemmeno più avere in mente che quel perché non lo sappiamo; meccanicamente ci trasciniamo, come un disco che gira.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.



martedì 29 aprile 2008

Le tre metamorfosi

Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.

Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, più difficili a portare. Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente - e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato. Qual è la cosa più gravosa da portare, eroi? - così chiede lo spirito paziente, - affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non è forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza? Oppure è: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore? Oppure è: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità soffrire la fame dell’anima? Oppure è: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi? Oppure è: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure è: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura? Tutte queste cose, le più gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, così corre anche lui nel suo deserto.

Ma là dove il deserto è più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria. Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol più chiamare signore e dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”. “Tu devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”. Valori millenari rilucono su queste squame e così parla il più possente dei draghi: “tutti i valori delle cose risplendono su di me”. “Tutti i valori sono già stati creati, e io sono ogni valore creato. In verità non ha da essere più alcun “io voglio”!”. Così parla il drago. Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione? Creare valori nuovi - di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione - di questo è capace la potenza del leone. Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone. Prendersi il diritto per valori nuovi - questo è il più terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa più sacra il “tu devi”: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.

Ma ditemi, fratelli che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì. Sì, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sì: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo.

Cosí parlò Zarathustra. Allora egli soggiornava nella città che è chiamata: “Vacca pezzata”.

F.W. Nietzsche


Bene bene, non scrivo per un sacco di tempo e poi salto fuori con questo bel raccontino palloso di Nietzsche (che forse qualcuno di voi ha pure studiato a scuola), lo so me le cerco... Comunque questa "parabola" nietzschiana mi è sempre piaciuta molto, sia per il contenuto, ma anche - più banalmente - per l'atmosfera.

Bene bene, direi che posso anche chiuderla qui...come vedete è un periodo che se non faccio parlare gli altri no ho proprio niente da scrivere.

Hasta la vista :)

mercoledì 26 marzo 2008

Cosa fare da grandi

Punto dolente, ma più che mai impellente: cosa voglio fare da grande? Quando si è piccoli è una bella domanda, quando si è lì lì inizia a fare paura...ma se te lo stai ancora domandando e sei già grande allora son dolori!

Ma voi ci avete mai pensato (tra parentesi - lo dico anche, casomai la punteggiatura non bastasse - questo è un altro dei miei cavalli di battaglia, per cui mi scuso per chi avesse la vaga idea di aver già sentito queste cose) che "i grandi" dedicano 8 (o più) ore della loro giornata a fare una certa cosa, questa certa cosa, nella maggioranza dei casi, è semplicemnte un modo per fare soldi e poter dunque vivere (almeno) "decentemente" e dunque si lavora per poter vivere bene almeno la parte di vita che non si lavora. E' evidente che questa è una visione a dir poco super-semplificata...però concedetemela.

Cioè, quel che voglio dire è, io "devo" dedicare buona parte della vita a fare qualcosa per - mettiamo - un'azienda, sto lì tutti i giorni e non vedo l'ora che venga sera, non vedo l'ora che venga il week-end...fa schifo dover fare un lavoro "aspettando di vivere".
A volte mi dico: io ho un certo tempo da vivere, e devo dedicarne una buona parte a fare qualcosa che se potessi, non farei assolutamente: è diabolico o no?

Lo so lo, sto dicendo un mare banalità e anche di cose sbagliate, o meglio con un altro lato della medaglia: è ovvio (altra banalità) che se tutti mettessero in pratica qule che sto dicendo non si andrebbe da nessuna parte, tutti i lavori sono necessari (tranne quello per cui sto studiando...che tristezza).

Beh..diciamo che questo post ormai è irreversibilmente rovinato, tanto vale chiudere qui, altrimenti chissà quali cazzate mi saltano fuori. Alé

giovedì 13 marzo 2008

Di chi è colpa?

Veniamo ad uno dei miei cavalli di battaglia.
Voglio essere il più stringato possibile (ma già sapete che mi dilungherò).
L'idea è questa: vi è mai capitato di sbagliare? Sicuramente sì. Vi è mai capitato di giudicare persone che sabgliano? Sicuramente sì. Vi è mai capitato di fare la cosa giusta al momento giusto? Senz'altro. Che cosa di questo è merito vostro? Che cosa colpa vostra? Voglio dire, se qualcuno è bravo a suonare il pianoforte, è fortunato ad esserlo, un po' come uno che nasce bello. Voi direte, questo non vale per tutto, bisogna sacrificarsi per imparare certe cose, dunque uno è bravo quando si sforza e si impegna a fare qualcosa. Ok. Ma quelli che non riescono ad impegnarsi, semplicemente perchè non ne hanno voglia ad esempio, che colpa ne hanno? Non potreste essere voi a non averne voglia? Quello che intendo è che chi è "bravo", o intelligente, o quel che volete, non è migliore di che è pigro, stupido, scansafatiche...è solo più fortunato!.

Il salto a giustificare qualsiasi tipo di comportamento (anche criminale) è davvero immediato. In quest'ottica, nessuno ha meriti o colpe...solo sfortuna o fortuna.
Si potrebbe obiettare che non sto tenedo conto del famoso libero arbitrio (sempre ammesso che esista, e ne dubito), ma anch'esso si potrebbe inglobare nel ragionamento. Se io decido liberamente, secondo miei ragionamenti interni di fare una certa cosa (ad esempio di non studiare perché non ne ho voglia, o di uccidere mia mamma perché ne ho voglia), ho semplicemnte seguito un ragionamento o un istinto liberamente: sono peggiore delgi altri per questo motivo?

Non sto dicendo che questi discorsi siano corretti...lì sto solo buttando lì (diciamo che tiro il sasso e poi nascondo la mano).
Alla prossima!!!

giovedì 6 marzo 2008

E vai di aforisma :)

Dopo il flop del principio antropico (e cosa mi aspettavo?) torniamo al beneamato ipse dixit:

"Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!"

beh, non ho bisogno di dire di chi è la frase... Non nascondo il mio accordo con il principio sopra esposto. Non dico di più perchè se comincio non smetto più! Voi che dite?

giovedì 28 febbraio 2008

Il Principio Antropico


Ebbene sì, non riesco ad esimermi dal parlare qui di Fisica. Metterò i post relativi a questo argomento sotto l'etichetta Deformazione Professionale..così sapete come evitarli facilmente. Ovviamente tutto ciò che scriverò è tutto tranne che autorevole, per cui non fidatevi troppo ;)

Detto questo veniamo all'argomento: il Principio Antropico.
In realtà si tratta più propriamente di una questione al limite tra filosofia e fisica, più che di fisica vera e propria, ma sto leggendo un libro che ne parla, per cui mi è venuta voglia di parlarne un po'.

L'idea è in breve la seguente: tutte le moderne scoperte sperimentali relative alla fisica (ma non solo) indicano che ci sono molte (alcuni iniziano a sostenere troppe) coincidenze fortuite nel come è strutturata la natura. O - per dirla meglio - ci sono una serie di parametri numerici (costante di accoppiamento dell'elttromagnetismo - la cosiddetta "costante di struttura fine" - la massa delle particelle elementari e soprattutto la costante cosmologica) che se fossero anche solo minimamente diversi avrebbero dato luogo ad un universo senza dubbio troppo ostile per albergare la vita. Quindi - vengo al dunque, dato che vi sento che non state più nella pelle - alcuni sostengono che l'unica spiegazione plausibile di queste coincidenze è che se non ci fossero, noi non saremmo qui a parlarne. Il termine coniato è, appunto, Principio Antropico.
Un po' contorto, non trovate?

Effettvamente messa così sa tanto di cazzata. Ma vediamo di espandere un po' gli orizzonti.
In molte teorie moderne (voglio sottolineare subito che non si tratta di pippe mentali di gente disturbata, non si tratta di fantascienza o roba del genere: sono scenari possibili nell'ambito della fisica moderna e ci sono migliaia di pubblicazioni scientifiche sull'argomento) gli esperti si sono accorti che l'universo potrebbe essere molto più "capiente" di quello che pensiamo. No, la parola "capiente" non è quella giusta, dato che quello che intendo è che molte teorie moderne prevedono scenari con molti universi (nota doverosa: l'universo è sempre uno solo per definizione, ma all'interno di esso ci sarebbe spazio per tanti "universi" come quello che noi vediamo), potremmo chiamarlo un paesaggio cosmico.
L'idea allora cambia e diventa la seguente: nel paesaggio cosmico c'è un numero spaventoso (provate un po' ad immaginare cosa può significare 10^500...come pensavo, non potete farcela) di "universi", la stragrande maggioranza dei quali è assolutamente inospitale: il Principio Antropico, in questa nuovo ottica, dice che noi siamo in quell' "universo" (o in uno di quei pochi per lo meno) in cui la vita è potuta nascere e svilupparsi a tal punto da potersi fare questo tipo di domande. Dal mio modesto punto di vista così suona molto più ragionevole (forse pensate che ragionevole non è una parola adatta dopo che vi ho parlato di "molti universi"... ma invece credo che lo sia).
Lo so, state pensando che sono solo ipotesi malsane e assolutamente prive di logica. Sono ipotesi, questo è vero, e non sono nemmeno particolarmente plausibili d'accordo. Ma fanno parte delle ipotesi che funzionano meglio, che riescono a dare ragione di più cose.
In effetti tutte le volte che racconto cose di questo tipo a qualcuno la reazione è una risata, come se stessi raccontando un film, ma non è così. Bisogna che la gente si abitui a pensare che queste cose sono possibli e seriamente prese in considerazione.
Scusate per quest'ultima invettiva... non riesco mai a trattenermi su questo tipo di argomenti.
Ok, ora vado a mangiare che è ora.
Alla prossima :)

lunedì 25 febbraio 2008

Tea Time

"Prendi più tè." "Non ne ho ancora preso niente, non posso prenderne di più." "Vuoi dire non puoi prenderne di meno. È facile prendere più di niente."
Lewis Carroll



Questa mi fa sempre un sacco ridere :D :D
Come compito a casa (ri)guardatevi il film!

mercoledì 20 febbraio 2008

per la serie Ipse dixit...eccone uno

"L'educazione dovrebbe inculcare l'idea che l'umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione."
Bertrand Russell


Io sono profondamente d'accordo con questa affermazione. Al giorno d'oggi tutti (o quasi) sostengono che la competizione sia un bene oggettivo. Io non lo credo. Penso che abbia senz'altro degli aspetti positivi, ma a quale prezzo? Che ne pensate?

Via a Ipse dixit !!


Dato l'enorme successo di pubblico e critica :) ho deciso di aprire una nuova e di sicuro apprezzata rubrica (ma come scrivo oggi?), l'ho chiamata Ipse dixit.
In pratica saranno qui postati gli aforismi che più mi piacciono, o più divertenti ecc.. con - eventualmente - qualche mia (e speriamo vostra!!!) considerazione in merito.
Per ora godetevi il busto.

giovedì 7 febbraio 2008

Jingle Bells

A volte mi sembra davvero di avere perso un pezzo, mi dico "no, senz'altro c'è qualcosa che ti sfugge". Probabilmente è colpa mia, è una forma di ristrettezza mentale...ma a volte mi capita di chiedermi - specie la domenica quando sento le campane risuonare - ma davvero nel 2008 c'è ancora chi fa queste cagate?! Scusate la franchezza, ma io credo proprio che siano cagate.
Spiegatemelo voi: ma davvero chi si professa cattolico "crede" (forse ritornerò anche su questo modo di dire) in tutte quelle cose? Lasciando perdere l'antico testamento - che pure sta proprio lì, nella Bibbia e che, mi pare, ha ben poco in comune con i Vangeli - davvero si pensa che sia vero tutto quello che raccontano i Vangeli, il discorso del figlio di dio, la resurrezione, i miracoli?! Per non parlare delle varie lettere di Paolo e compagnia bella. Non so a voi, ma a me pare che - ad esempio - la storia degli UFO impallidisca di fronte a questa serie di stranezze.

Ma passiamo sopra anche a questo. Dopotutto, miracoli e figlio di dio a parte, Gesù diceva cose ragionevoli (vorrei sottolineare l'aggettivo), direi condivisibili e intelligenti.
Ma, arrivati a questo punto, che diavolo (tanto per rimanere in tema) c'entra tutto il resto? Non si potrebbe semplicemente "credere" in Gesù (e in dio) e cercare di seguirne gli insegnamenti senza tutto il resto? Cosa mi significa la messa? Cosa mi significa recitare a memoria cose che ormai hanno perso il loro significato da tanto che sono state ripetute? A cosa serve, davvero, la comunione? A cosa serve la Chiesa?

Quello che voglio dire è che essere religiosi è comprensibile, pensare che esista qualcosa oltre questa realtà è pure comprensibile, ma tutto il contorno francamente mi sembra davvero esagerato e non capisco bene come faccia a essere ancora in piedi.

Volgio dire, uno ha la sua testa per ragionare e, a meno che non ci sia veramente un'illuminazione divina che gli da una certezza interiore di quello che pensa - ma, converrete con me che questa situazione suona molto come un "è così e basta!" - analizza un attimo la situazione e capisce (questo è il punto dove forse mi manca quel famoso pezzo di cui parlavo all'inizio) che le probabilità che le cose siano davvero come dice l'ortodossia cattolica sono praticamente nulle (come dicevo prima è molto più ragionevole credere negli UFO). E' come lanciare un dado e dire "io 'credo' che si fermerà su uno spigolo", che mi signfica? Cos'è quel 'credo'? Se lanci un dado puoi dire che scommetti su una certa uscita (nessuno scommette su uno spigolo, che ve lo dico a fare), ma non puoi esserne sicuro ovviamente. Però i religiosi sono convinti di quello in cui credono - correggetemi se sbaglio - non ammettono possibilità di errore, non dicono "secondo me esiste Dio, ma posso sbagliarmi". Quindi, quel famoso pezzo che mi manca sta proprio qui.

So già quale potrebbe essere la critica più gettonata, "non puoi parlare di religione in questo modo, non è una cosa razionale, ci vuole fede". Ok, siamo giunti al punto. L'unica vera scappatoia (perdonatemi il termine) è questa del fideismo (ne accennavo anche prima): se davvero tutte queste cose sono "sentite" come verità interne (ma che significa??) allora non ha nemmeno senso parlarne...ma - di nuovo - non suona anche a voi come una scappatoia appunto?

Va bene, direi che mi fermo. L'obiettivo di sfinire il lettore è già raggiunto da tempo,credo che nessuno sia arrivato vivo fino a qui (a parte te, furbino/a, che sei saltato direttamente a vedere il finale...non si fa!). Quindi, salute a tutti, belli e brutti :)

Edit: ho trovato questo aforisma di Russell, che mi pare giusto giusto per l'argomento...ve lo piazzo qua.

Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c'è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che - posto che la mia asserzione non può essere confutata - dubitarne sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità, ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente.
B. Russell

martedì 29 gennaio 2008

Pinguino (o no?)



Questo è il primo post di Varie ed Eventuali...anzi in realtà è il primo post degli argomenti (questo fa capire quanti argomenti chiari possa avere).


Comunque..si va.


Ultimamente, nell'attesa che dall'università mi dicano cosa dovrò fare tutti i giorni per i prossimi tre anni (sì, proprio così, non ne ho ancora idea), mi sto dilettando con il mondo del pinguino (invece che fare cose più produttive). Devo ammettere che il concetto di free software e comunqe di software open source mi ha sempre stimolato, non so, c'è questa sensazione di fondo che sia qualcosa di buono...mah.

Non sono per niente un esperto, ma devo dire che, a parte alcune difficoltà iniziali (direi più che altro paure iniziali, come quella di fare errori irrimediabili durante il partizionamento o cose del genere) le cose sono andate (per ora, qui ci vogliono tutti gli scongiuri del caso) piuttosto bene. Certo se non fosse stato per il forum e le guide in linea non ci avrei nemmeno provato.

La grafica, una volta capito come si gestisce, è davvero insuperabile, con una miriade di possibilità di variazioni (come il desktop che ruota come un cubo in 3D o cose del genere). Installare i pacchetti è semplicissimo (almeno nella distro che ho montato io, Ubuntu 7.10) e ce ne sono davvero per tutti i gusti.
E' evidente che Linux ha ancora la sua dose di problemi: "difficoltà" nei passi iniziali (mi tremavano le mani quando ho dovuto partizionare l'hard disk del mio portatile nuovo, c'è voluta una certa dose di incoscienza a farlo e - soprattutto - di culo nel non fare danni. In effetti la partizione del disco fisso non è roba di tutti i giorni e se uno non sa quel che fa o no ha un gran culo - come me - rischia davvero di fare danni), problemi con compatibilità hardware (solo oggi e con passi che non saprei mai ripetere, sono riuscito a configurare il mio modem usb Adsl su Ubuntu, e solo grazie ad una guida passo passo della comunità ubuntu),
problemi con software (chi dovesse usare AutoCAD - tanto per fare un esempio - non potrebbe farlo su Linux).

I linuxiani (o liniani, non so bene come si dica), sostengono che i problemi di Linux sono innanzitutto questione di tempo: tra qualche anno sia gli hardware che i software avranno compatibilità con Linux; dicono inoltre che i problemi non sono comunque dovuti a Linux in quanto tale, ma che sono dovuti al monpolio Microsoft: le case che producono modem - ad esempio - li forniscono di driver (o firmware o quel che è) solo per Windows o al massimo per MacOS, ma non per Linux, e così vale per i software: ad esempio se non esiste una versione di AutoCAD per Linux - dicono - non è colpa di Linux, ma della AutoDesk che non la produce. Quello che mi chiedo io è: davvero è così per un presunto monopolio, oppure semplicemente Linux non è ancora all'altezza della situazione?

Non saprei che dire: girovagando per la rete e spulciando qua e là nei siti di opensource parlano di Microsoft come del male per definizione, ma io non sono mai stato incline ad estremizzare le cose. Dopotutto mi pare che Windows non sia un sistema operativo così pessimo, o forse lo è per certe cose (sicurezza ad esempio), ma non per altre, ed ha certo avuto il pregio di fare sistemi operativi sempre più "semplici" da usare (spero che nessun Linux-fanatcio passi di qua, non credo la prenderebbe di certo bene) e di riuscire a farli usare paticamente a chiunque. Sì, è vero che i sistemi operativi Linux al giorno d'oggi sono altrettanto user-friendly, ma fino a qualche anno fa non lo erano di certo.

Dopo tutto cosa c'è di male a fare dei prodotti commerciali? Voglio dire le società che producono software opensource prenderanno i soldi da qualche parte no? Di solito vendono il supporto tecnico ad esempio. E' chiaro che il fatto che Linux sia free (non tutte le distribuzioni lo sono però) è di per sé un enorme punto a favore, ma questo non lo rende "moralmente migliore".
C'è da dire che l'essere opensource ha dei netti vantaggi tecnici: tutti quanti possono trovare dei bug e sistemarli (tutti quanti? io no di certo!), tutti possono contribuire migliorando il codice, il sistema risulta molto più testato, più stabile e più aggiornato. Questi dovrebbero essere motivi di "gloria" per i liniani, e non il "complottismo" che non ha mai portato da nessuna parte.

Quel che intendo dire è che Microsoft non deve essere ritenuta peggiore solo perchè ha dei guadagni a fare i sistemi operativi. E' chiaro che se ci fosse qualcosa di illegale, qualche effettiva forma di monopolio o roba del genere, allora sì che i discorsi cambierebbero; ma fino a prova contraria i liniani dovrebbero cercare di proporre delle alternative che siano davvero competitive sul piano tecnico, senza autoproclamarsi i buoni e qunidi migliori.

Detto ciò è evidente di per sé che la filosofia opensource ha un suo senso, ma non si può pretendere che sia condivisa da tutti. Io, personalmente, riterrei giusto che i codici fossero liberi, senza brevetto, un po' come gli articoli della comunità scientifica (non da molti anni comunque), ma penso che da qualche parte i soldi per pagare i programmatori che fanno questi codici devono venire. Quindi bisognerebbe vedere se è possibile fare solo software opensource come vorrebbe la omonima filosofia.

Come al solito non arrivo a nessuna conclusione...e ho pure scritto molto male e non mi sono spiegato bene. Va beh, magari uno di questi giorni ci torno sopra. Per ora, se volete, dite la vostra. Ciao

Argomenti...(esoso!!)

E' venuto il momento di parlare di qualcosa, per questo esistono i blog no? So che sarò quasi sicuramente l'unico lettore (a parte, ovviamente, fatlazycat), ma dato che siamo in ballo, balliamo...e poi così posso proprio scrivere quel che mi pare no?
Quindi ho deciso che dividerò il tutto in vari argomenti (come non li vedete, sono proprio qui a destra!)..che, in teoria, dovrei riuscire a portare avanti (ma ne avrò il tempo? bah).

venerdì 25 gennaio 2008

Tre, due, uno...si parte

Primissimo post per il mio nuovissimo e primissimo blog... lo vedete molto scarno un po' perchè non so fare, un po' perchè non so ancora bene cosa scrivere e un po' perchè - in teoria - dovrei fare altre cose (anche se non ci crede nessuno :P).
Va bene, detto questo, dò ufficialmente il via alle danze...