mercoledì 29 dicembre 2010

pablo honey

Abeja blanca zumbas, ebria de miel, en mi alma
y te tuerces en lentos espirales de humo.

Soy el desesperado, la palabra sin ecos,
el que lo perdió todo, y el que todo lo tuvo.

Última amarra, cruje en ti mi ansiedad última.
En mi tierra desierta eres la última rosa.

¡Ah silenciosa!

Cierta tus ojos profundos. Allí aletea la noche.
¡Ah! desnuda tu cuerpo de estatua temerosa.

Tienes ojos profundos donde la noche alea.
Frescos brazos de flor y regazo de rosa.

Se parecen tus senos a los caracoles blancos.
Ha venido a dormirse en tu vientre una mariposa de sombra.

¡Ah silenciosa!

He aquí la soledad de donde estás ausente.
Llueve. El viento del mar caza errantes gaviotas.

El agua anda descalza por las calles mojadas.
De aquel árbol se quejan, como enfermos, las hojas.

Abeja blanca, ausente, aún zumbas en mi alma.
Revives en el tiempo, delgada y silenciosa.
¡Ah silenciosa!  
-Pablo Neruda-

martedì 28 dicembre 2010

e vissero tutti felici e contenti

Scrivo qui a commento a quanto scritto a questo indirizzo, che invito a chi passasse di qua ad andare a leggere, è molto più interessante di quel che c'è qui.

[rileggendo velocemente quello che ho scritto, mi sono reso conto di essere stato decisamente troppo "vogliamoci bene", troppo generico, troppo sognatore (tutte cose che mi infastidiscono) e che sono stato su un piano che non è quello su cui volevo commentare. Tant'è.]

Io credo che ci siano almeno due punti fondamentali:
- capire quello che si vuole,
- capire come poterlo ottenere.

-Quello che si vuole-
ho più o meno sempre vissuto pensando che il mondo fosse 'arrivato'. Ossia che tutte le turbolenze della storia, quelle che si studiano a scuola, fossero -- appunto -- storia e che ora la società, quella occidentale almeno, fosse giunta tutto sommato ad un equilibrio più o meno stabile. Il capitalismo (parola con la quale intendo -- grossolanamente -- il modello di economia finalizzato al produrre utili sotto forma di capitale), con tutti i suoi difetti, credevo non fosse oramai più in discussione.
Con questa premessa è superfluo dire che mi sono ricreduto. Mi sono convinto che il periodo in cui viviamo non è diverso da altri segmenti di storia; non siamo in nessun equilibrio e tantomeno arrivati da nessuna parte. Bella scoperta. Bè, per me lo è stata.
Cosa voglio dire con questo? Che credo che il modello sociale del mondo occidentale possa e, di più, debba estinguersi o comunque evolvere.
Qual è il punto: sembra banale a dirlo, anzi è banale: il mondo non può più permettersi questo modello sociale. Lo si ripete ormai come un ritornello troppo sentito, come un'aria canticchiata in testa tante di quelle volte che le parole hanno perso il contorno e il senso. Non per questo il senso non ce l'hanno: la società occidentale non può continuare a vivere come ha fatto negli ultimi 50, 60 anni. Non possiamo semplicemente produrre e consumare, senza mettere nei conti almeno due cose: l'ambiente e il resto della popolazione.
E' necessario un nuovo modello economico nel quale il "costo" di un prodotto tenga conto della sua sostenibilità ambientale, di quanta acqua ed energia sono servite a produrlo e in quali modi.
Quel che sta succedendo è che sempre più porzioni del mondo meno sviluppato stanno entrando nel calderone del libero mercato, e il calderone è destinato a scoppiare. I problemi che la cosiddetta globalizzazione, il mercato globale stanno creando alle aziende italiane e non, decentramenti di produzione ecc... sono piccole scosse di un terremoto che verrà, e che darà vita ad un nuovo assetto. Bisogna lavorare affinché questo nuovo assetto sia come lo vogliamo. Noi, certo.

Dobbiamo fare un salto ulteriore nella scala dell'aggregazione sociale. Gli uomini dovrebbero vedersi in quanto appartenenti ad una comunità, e la grana di questa comunità deve diventare sempre più grossa.
Siamo partiti dalle caverne, dove ognuno pensa al proprio cibo e alla propria sopravvivenza, siamo passati a piccole comunità agricole, poi a città, poi a forme di comunione sempre più ampie. Tutto questo è stato raggiunto anche con il fondamentale apporto della tecnologia nelle forme di comunicazione e di scambio tra comunità diverse.
Internet è una forma tecnologica che allarga molto sensibilmente l'orizzonte della comunicazione. E' questa forma comunicativa che va utilizzata per saltare lo steccato del modello attuale e raggiungere modelli di condivisione e convivenza superiori.
Innanzitutto bisogna comprendere che il capitalismo ha portato enormi ed innegabili benefici, ma ha perso pian piano per la strada l'obiettivo che ogni animale sociale dovrebbe avere (o almeno la classe dirigente): il bene della comunità, prima del proprio. E' questo respiro corto, questa visione troppo ravvicinata che fa del capitalismo che viviamo qualcosa di snaturato e ingiusto.
Sto leggendo in questi giorni il libro di Hofstadter "Geodel Escher Bach" e lì si fa un paragone tra formiche/formicaio e neuroni/cervello. La visione di basso livello del cervello(formicaio) sono i neuroni(formiche). Ma la meraviglia non sta a quel livello! Se guardiamo il cervello al livello neuronale vedremo solo tante cellule collegate che liberano scariche di ioni. Se guardiamo il formicaio a livello della formica vedremo solo singoli insetti che si procurano cibo. E' ad alto livello che stanno le meraviglie dell'intelligenza del cervello e dell'intelligenza della comunità delle formiche.
A quel livello dovremmo aspirare, e ci vuole un respiro lungo, molto lungo. Anni luce, davvero anni luce dalle visioni dei nostri politici.

-come poterlo ottenere-
credo che il punto fondamentale e a un tempo più difficile, sia scardinare la visione corta e malata del benessere personale a scapito altrui.
A partire da noi stessi, a partire da me, che pure scrivo queste cose. Mi viene in mente una canzoncina di Michael Jackson, man in the mirror, conzone sbrodolosamente buonista e molto faziosa (nel senso di fabio), ma il seme è giusto. Non sto dicendo che tutti debbano pensarla così, questa è pura finzione. Ma almeno coloro che guidano pezzi di comunità dovrebbero avere questo in mente.
Ovvio, non ci si può fermare qui.
Coloro che condividono queste, o simili, idee devono organizzarsi e iniziare piano piano a creare delle bolle comunitarie in cui discutere di questo. Di persona, potendo, con assemblee, ma che siano assemlee con contenuti, con seminari con proposte e direi soprattutto con insegnamenti. Se c'è un punto sul quale sono incondizionatamente d'accordo con la persona a cui sto rispondendo è questa: serve conoscienza! In queste assemblee bisognerebbe che innanzitutto si insegni e si impari.
Bisognerebbe istituire un blog o comunque uno spazio sulla rete in cui scrivere il mondo che si immagina e perché e discuterne. Bisognerebbe cercare di mettersi in comunicazione con i movimenti che già ci sono. Ultimamente mi sto interessando al free software. La Free Software Foundation, il progetto GNU di Richard Stallman, sono tutti movimenti di persone che (per lo meno per quel che ho capito) lavorano all'elaborazione di software non con il primario obiettivo di fare soldi, ma affinché chi ha bisogno di software li possa avere. Questo non vuol dire che sia sbagliato guadagnarci, non è questo il punto. Ma non è il guadagno l'obiettivo. Siamo diventati come lo stupido che guarda il dito e non la luna. La luna, il respiro lungo, è il bene della comunità, della popolazione, qui sta il vero progresso.

--
Certo, queste sono tante e solo parole. D'altra parte sono teorico per curriculum e sono piuttosto convinto che non ci sia nulla di più pratico che una buona teoria (ma questo lo diceva un altro teorico). Non che ce l'abbia, anzi.
Seriamente: tutto questo è semplicemente mettere insieme una serie di idee confuse, poco collegate, poco motivate, ma piuttosto convinte, con la convinzione dell'intuizione più che del ragionamento. A questo dovrebbero serivire le assemblee e le riunioni: a dare struttura, testa a idee e convinzioni volatili.

sabato 25 dicembre 2010

ecce gould

"una volta che Leonard Bernstein, in turneé a Toronto con la New York Philharmonic, andò a trovarlo, Gould non volle che restassero a casa sua e gli propose « si potrebbe fare quello che mi piace di più ». Così partirono con la macchina di Gould, sepolto sotto pellicciotti, sciarpe, testa e mani invisibili, i finestrini accuratamente chiusi, il riscaldamento al massimo, la radio a tutto volume. Girarono in città per due ore. Due ore di sudore e rumore. Bernstein, che non ne poteva più, ad un tratto gli chiese se lo faceva spesso. Estasiato, Gould rispose « tutti i giorni »" [da Glenn Gould--piano solo di Michel Schneider]

mercoledì 15 dicembre 2010

venerdì 10 dicembre 2010

inchiostro

Forse è capitato a tutti. E' mattina e la stanza è buia. Sei a letto. La tua testa inizia molto lentamente a svegliarsi. Per qualche istante, che non saprei di fatto dire se si tratta di momenti o secondi o minuti, tutto tace. In testa intendo. Non c'è nulla, solo la sensazione di essere a letto. Poi il tutto inizia a mettersi in moto e la testa comincia a caricare tutti i pensieri, tutte le situazioni che si stanno vivendo in quel periodo, le preoccupazioni, le gioie, le certezze o i dubbi, le cose da fare una volta alzatisi, ecc...
Ci sono dei periodi -- sarà capitato a tutti, dicevo -- in cui questo caricare è come prendere un bel foglio di carta bianco e rovesciarci sopra un litro di inchiostro. Nero.
Allora le mani cominciano a tremare e si sente freddo. Si prende la coperta, la si porta sopra la testa e si aspetta. Si aspetta che quella sensazione passi. Si vorrebbe tanto avere un bella funzione 'ignore all', come quando si butta via la spam dalla posta. Non c'è, e si aspetta. Ma quella non è solo una sensazione, e aspettare non serve a nulla, l'inchiostro rimane lì. Cercare di pulire? Perso in partenza. Niente, l'unica è alzarsi e fare finta che il nero sia bianco...o per lo meno grigio. E si continua ad aspettare comunque, anche di giorno, si trattiene il respiro per non sentire l'odore di quell'inchiostro, per non ricordarsi che esiste e si aspetta...che passi, finchè non si torna a letto, la sera.

mercoledì 8 dicembre 2010

il riso abbonda sulla bocca degli stolti

"Se vuoi un anno di prosperità coltiva del riso. Se vuoi dieci anni di prosperità pianta degli alberi. Se vuoi cento anni di prosperità istruisci degli uomini" - proverbio cinese

c'è sempre da imparare dai cinesi.

martedì 7 dicembre 2010

darWIN

Sapete, a volte mi sento inadatto. Proprio così. E il senso preciso in cui percepisco questa 'inadattezza' è forse più centrato dall'inglese unfitness. La natura ha deciso che i più adatti debbano andare avanti: 'survival of the fittest'. Inadatto.
Non c'è nulla da fare, la natura ha inserito la larva della competizione troppo all'interno della trama stessa dell'esistere, perché si possa avere la pretesa di eluderla, di scardinarla e di vivere per condividere qualcosa piuttosto che per vincere qualcosa. Perché semplicemente vivere è combattere per vincere. Chi prova diversamente, chi cerca di stare fuori dal gioco, nel gioco ci cade eccome, e perde.
Chi non riesce non dico a vincere, ma nemmeno a combattere per provarci...questo è la quintessenza dell'inadatto.
E se il mondo di oggi ha tanti pregi -- e di certo non è giusto vomitarci sopra, come spesso si è tentati, chissà perché, di fare, con la sconfinata abitudine di vantarsi delle proprie sfortune -- ha però il difetto di aver reso vani tutti i tentativi che finora gli uomini (o alcuni uomini) hanno fatto per abitare un mondo nel quale il principio non fosse che è il più forte ad avere sempre la meglio. Discorso banalotto, lo so, ma da quando in qua banale è sinonimo di sbagliato? Anzi, credo che bisognerebbe avere il coraggio di
affrontare di più le questioni 'banali', piuttosto che incunearsi nei meandri della 'cervelloticità' e dell'intellettualismo.

Dunque, la società ha seguito quel principio di adattamento, per cui c'è chi vince e chi perde, e vincere è meglio. Si potrebbe obiettare su ciò. Si potrebbe dire che le possibilità oggigiorno per i più 'deboli' o per coloro che stanno più in basso nella scala sociale sono infinitamente più alte che in passato. E' vero, ma -- a ben guardare -- questo non ha scalfito il principio in sé, semplicemente è cambiato il concetto di 'debole' e sono cambiati, in parte, i mezzi con cui si scala la montagna del successo e in genere dell'essere un buon cittadino.
Ma il principio è sempre quello: tutti giocano, molti perdono, pochi vincono.

Non c'è nulla di male né di bene in questo, è così e basta. No, scusate ma non sono d'accordo, c'è di male e molto. Ed è qualcosa che si sente, dentro, qualcosa che stride, qualcosa che suona male, una dissonanza, un'alterazione.

sabato 4 dicembre 2010

gustar(t)e

E' sabato. Dovrei studiare, lavorare, preparare domande...un sacco di cose insomma. Invece sono qui seduto sul letto con il computer in braccio, ad ascoltare canzoni che farei meglio a non ascoltare. belle però. e non è bello quando le cose belle, sono brutte. Ma non è di questo che volevo scrivere.

In realtà volevo continuare quel discorso sulla musica, ma mi è passata la voglia. Per cui farò (di nuovo) parlare qualcun altro in merito...e magari poi ripartirò da questo commento, sì, mi piace così. Intanto ecco qua:

"All'idea che il compositore crede di aver attinto qualche cosa di artistico corrisponde il fatto che quella musica non offre gran che a chi ascolta. Io ho un altro atteggiamento: anche se la maggior parte della gente non ama quello che faccio, quelli a cui piace si divertono; non la consumano perché è arte, ma perché ci provano gusto"

Questo è Frank Zappa.
Alla prossima

sabato 20 novembre 2010

banda di maleducati

E' da qualche tempo che mi diletto nello studio dell'armonia, a tempo perso (brutta espressione per indicare il tempo dedicato a fare quel che fai solo perché ti piace). A ben vedere la parola studio è un po' esagerata, diciamo lettura. Il qualche tempo significa sostanzialmente da quando ero oltralpe, grazie soprattutto ad un amico e collega (peraltro lo stesso della frase citata sopra, anzi sotto), appassionato di musica (colta direbbe qualcuno) nonché molto competente e praticante. Grazie al fatto che i ragazzi che mi ospitavano avevano una tastiera (no, due; e una chitarra; e un bongo) -- cosa che qua manca, il che è un handicap non da poco. Grazie anche al mio (maledetto, sia ben chiaro) spirito di competizione, che ve lo dico a fare.

Sapete che c'è? che è un vero peccato. Provate un attimo a pensare: se la scuola, ossia se l'educazione pubblica, non vi avesse insegnato che cos'è la poesia, non vi avesse per lo meno detto di cosa parlava Montale, o anche solo che è esistito; pensate se non vi avesse insegnato la storia, non vi avesse accennato a Garibaldi, o Pericle..per lo meno per sapere che ci sono stati. Oppure se non vi avesse insegnato che cosa sono le equazioni, le funzioni (anche se poi forse le avete dimenticate) e che  giochini come questi, che sembrano inutili e noiosi, sono talemente potenti che è grazie ad essi che si fa più o meno tutto quel che si chiama progresso (ancora me ne stupisco). Pensate se non vi avesse insegnato che è esistito Shakespeare o se non vi avesse dato nemmeno un rudimento di inglese. Come vi sentireste?
Io mi sentirei come se mi incamminassi per andare a Bologna, a piedi, perché nessuno mi ha detto che esiste il treno, o l'automobile, o perfino la bicicletta. E questo per anni.
Non è proprio così -- diffidate delle metafore, soprattutto delle mie, non mi riescono mai bene -- ma rende un po' l'idea.

Così con la musica. Penso sempre di più che sia scandaloso, lo ripeto, scandaloso, che la scuola pubblica non fornisca almeno gli strumenti di base per poter capire e (quindi) apprezzare la musica. Perché è scandaloso? Provate a chiedere a cento persone di elencarvi le cose belle della vita, quelle per cui (ogni tanto) pensi che ne valga la pena. Scommetto che la musica sarà in questo elenco, e non molto in basso. E questo nonostante la maggioranza di questi cento non abbia alcuna cultura musicale.
E poi si arriva a 28 anni e, per un caso o per un altro, ci si rende conto che esiste un intero mondo, un intero linguaggio creato e raffinato appositamente per poter comunicare piacere e sentimenti, e che finora se ne è appena sfiorata la superficie (la musica "leggera" intendo, per quanto questa distinzione sia "a grana grossa", come tutte le etichette). E un po' ti senti di aver perso qualcosa, anche se un po' sei contento di doverla ancora scoprire.

[...pausa]

lunedì 15 novembre 2010

percorso

Ho letto questa frase sul blog di un amico, mi è piaciuta talmente che la voglio mettere pure qui (ma non andateglielo a dire, perché gliel'ho rubata ;)
Il primo giorno di scuola è sempre entusiasmante, ed anche la prima riunione del neonato gruppo di acquisto solidale, il primo giorno in cui si va a vivere insieme etc. Ma la costruzione di cose buone e migliori non si fa il primo giorno, si fa nel tempo, con pazienza, compromessi, ed una certa razionalizzazione del sentimento. Certo, poi ci vogliono anche le feste patronali, la vacanza a Parigi, i momenti in cui si riscopre perché si è iniziato un percorso. Ma il percorso non sono quei momenti.
vale un po' per tutto, credo, e non è male tenerlo a mente.

mercoledì 27 ottobre 2010

dargli spazio

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio.

Italo Calvino - le città invisibili

lunedì 25 ottobre 2010

abbassate le luci

Non devo dire niente. Non devo parlare di niente. Però, ahimè, ho una certa ansia da 'devo scrivere qualcosa', ansia dovuta - lo sento chiaramente - al fatto di aver chiuso definitivamente i ponti con facebook e dunque anche alla smania di scrivere 'stati' (odio perfino lo slang facebookiano). Dunque non scriverò nulla e forse capiterà che non scriverò nulla sempre più spesso, riempiendo pagine di niente. Per questo ho abbassato le luci, così da nascondermi un pochino, un po' come quando giri con gli occhiali da sole e ti senti più al sicuro - o forse è capitato solo a me. A volte tendo a dimenticare che in fondo questo blog non lo legge nessuno...va beh, è un po' come un diario, o meglio, lo è ora, che le luci sono basse e tutto suona più intimo...lo scrivo per me, più che altro.

giovedì 21 ottobre 2010

bariccata

sarà antipatico, ma quando ci si mette è bravino va'



carino no? e mi pare che abbia ragione: questa storia di creare tensione per poi risolverla e provarne piacere è un giochino che capita in mille cose. Nei romanzi e nelle storie, come dice lui, ma anche nei piaceri puri, come il classico bicchier d'acqua dopo una corsa d'estate, oppure nel sesso: desiderio, tensione e poi...cadenza (non d'inganno si spera), ecc...se ne possono trovare a non finire.
E pensandoci bene (ma anche no) altro non è che lo schema della dialettica, il classico tesi + antitesi (e quindi scontro, tensione) -> sintesi (orgasmo). Dunque Hegel pensava che questo giochino del piacere (musicale, ad esempio) fosse in effetti un meccanismo comune a tutte le cose che cambiano, che evolvono. Altro esempio, che in realtà è lo stesso ma con parole diverse, è apollineo vs. dionisiaco -> superuomo: in questo caso il meccanismo è utilizzato per schematizzare il processo ideale di crescita di un individuo; scontro tra - permettetemi di semplificare all'osso - ragione e cuore per arrivare ad un equilibrio dei due, un relax finale.
Non so quanto possa essere utile saperlo, decidetelo voi.

venerdì 8 ottobre 2010

memorandum

Facile fare scrivere gli altri:

Istanti
Se io potessi vivere un'altra volta la mia vita
nella prossima cercherei di fare più errori
non cercherei di essere tanto perfetto,
mi negherei di più,
sarei meno serio di quanto sono stato,
difatti prenderei pochissime cose sul serio.
Sarei meno igienico,
correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei più fiumi,
andrei in posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e precisamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia
ma se potessi tornare indietro cercherei di avere soltanto buoni momenti.
Nel caso non lo sappiate, di quello è fatta la vita,
solo di momenti, non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che mai andava in nessun posto senza un termometro,
una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute;
se potessi vivere di nuovo comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri nella carrozzella,
guarderei più albe e giocherei di più con i bambini,
se avessi un'altra volta la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo.

giovedì 23 settembre 2010

da che pArte stai?

Ho letto da poco un libretto di Baricco sulla musica. Mi ha fatto pensare un po' e mi ha fatto venire voglia di scrivere qualcosa. E ho pensato di scriverla qui. Il libretto di cui parlo è quello con il titolo astruso sulle mucche di Hegel, che francamente non ho ben capito, ma non è quello l'importante e non è importante nemmeno il libro. Mi ha semplicemente fatto partire una riflessione sull'Arte, che schiaffo qui.

L'Arte è una di quelle cose, come l'Amore, che si usano spesso - le parole intendo - e si usano a nobilitare l'oggetto o la situazione a cui si riferiscono; ma che non hanno una vera definizione.
Da quanto posso capire, la tendenza è quella di considerare artistica qualsiasi produzione "creativa" (dovremmo fare poi i conti con questo fastidioso aggettivo). Può andare, certo. Una definizione non deve rendere conto a nessuno. Il problema però è che questa parola, arte, ha ormai un blasone di nobiltà e levatura che non gli si può attaccare una definizione qualsivoglia.
Perché non c'è nulla di nobile in uno scarabocchio, per quanto creativo possa essere.
E qui sta una "piccola" patologia del mondo artistico. Se l'autore dello scarabocchio ha fortuna, o gli agganci o anche solo il carisma e carattere per iniziare a fare breccia nella società (lui, non lo scarabocchio), i suoi lavori saranno Arte. Non c'è nulla da fare, è così. E la gente andrà a vedere le sue mostre e magari si emozionerà davanti ai suoi quadri (ora lo sono) non rendendosi conto che questa emozione è sì accesa dalla tela, ma rimarrebbe un insignificante lumicino se non fosse per tutta l'amplificazione che sta dietro e attorno all'autore. E se il fine giustifica i mezzi, va tutto bene, l'emozione è arrivata. Ma non è questo che critico. Il punto è che continua a non esserci nulla di nobile nello scarabocchio; non è Arte per me.

Io ho una mia specifica definizione. Non è completa, ha bisogno di altri paletti, ma è un punto di partenza: è artistica qualsiasi produzione volta a consegnare nel modo più efficace possibile un messaggio, un significato.
Questo eliminerebbe dall'ala protettrice e rassicurante dell'Arte molte prduzioni creative. Ad esempio rimangono esclusi quasi in toto diversi capisaldi dell'arte imparata a memoria a scuola: architettura, pittura, scultura e anche musica.
Questo non vuole assolutamente significare che non siano cose nobili e importanti e anche estremamente creative, ma non hanno un significato, se non raramente e solo allora diventerebbero, secondo la mia definizione - ossia secondo me - arti.
Un esempio che mi viene in mente è Guernica. Quello non è solo un disegno. Questo voglio dire. Finchè si disegna o si scarabocchia qualcosa, per quanto bello o ben fatto, non c'è contenuto. Le cattedrali di Rouen di Monet sono stupende, tolgono il fiato viste dal vivo, ma non hanno niente dentro.
Stessa cosa con la musica. La musica pura (e dunque gran parte della musica classica) ha una grande capacità emotiva, ma non aggiunge nulla all'anima di chi la ascolta. Mi spiego: potrà l'ascoltatore provare tristezza o gioia o forza, ma senza un motivo. Questi sentimenti sono generati dalla tecnica musicale, sono per così dire sostenuti dall'andamento della melodia, ma non hanno un fine, non vanno da nessuna parte.
Dunque è il significato che, secondo questa definizione, fa di un'opera un'opera d'arte.
In questo senso la poesia potrebbe essere la vera scheggia d'arte. Il modo più secco e puro di fare arte. Ma in realtà io credo che la canzone sia più efficace. In questo sono decisamente contro corrente: la musica cosiddetta popolare è di solito snobbata dalla nicchia intellettuale. Ma la "poesia musicata" è il veicolo perfetto per convogliare un significato, perché la musica fornisce quella piattaforma di sostegno per l'emozione che permette al messaggio di entrare nel cervello e nel cuore contemporaneamente.
Per concludere, arte è quando ci si emoziona perché si partecipa intensamente di un significato, di un messaggio, che ritroviamo dentro di noi e che sentiamo nostro, quasi avessimo potuto esprimerlo noi così.
(Ovviamente è superfluo dire che si tratta semplicemente di una ipotesi, senza alcune pretese)

lunedì 2 agosto 2010

gioco delle coppie

Bene.?! Come i pochi(ssimi(ssimi(ssimi))) lettori certo sapranno, chi vi scrive è reduce (forse) da una discreta botta nella materia di cui si va parlando. Si sa, in queste circostanze è inevitabile ragionare a tema. Oddio, più che altro quel che si fa è sragionare, decisamente e direi violentemente; ma quando la testa è in casa comunque sia il pensiero rimane negli stessi paraggi della follia di cui sopra, e magari si riesce anche a pensare qualcosa di interessante, per quanto malato. Bene, quel che pare saltare agli occhi (mamma quanto è brutta questa espressione!?) è che ci dev'essere qualcosa che non va nel gioco. Non dico di innaturale, forse è fin troppo naturale anzi, ma di mmmm, come dire, sbagliato, ingiusto, che fa a pugni con la logica. D'altronde la vita è piena di esempi di questo tipo, di cose - voglio dire - che sono naturali ma che stonano, basta pensare a qualsiasi tipo di malattia, oppure semplicemente all'immagine da superquark dello gnù (di solito cucciolo, che aumenta il pathos) che viene sbranato dal coccodrillo. E' la natura, certo..ma io non vorrei essere lo gnù, e se fossi lo gnù direi che ci dev'essere qualcosa di sbagliato. Nel caso di cui si parla non si tratta di cose così brutali, nè di vita o di morte (beh, a volte sì, anzi spesso, ascoltando il tg1), ma l'inciampo rimane. Come funziona il tutto? Saltiamo le primissime fasi, diciamo il 'pre', che per ora non mi interessa, anzi mi fa pure un poco incazzare. Quindi diciamo che si decide di stare insieme. Bene, all'inizio si ha quella fase piena di, come la vogliamo chiamare, passione? come volete, l'idea è che si vive con la costante voglia - non solo voglia è più un'ossessione - di stare vicino all'altra, e di sentire e far sentire questa vicinanza..insomma si ha la costante voglia di saltare addosso all'altra (parlo al femminile per comodità e abitudine), baciare inogniddove e via discorrendo, i particolari li sapete.
Questo periodo finisce. E non dura nemmeno molto, io lo battezzerei nell'ordine di mesi, ma credo dipenda moltissimo dalle circostanze e dalle persone. Tuttavia credo di poter dire senza tema di smentita che non supera l'anno di vita. Non fraintendetemi, non sto sostenendo che dopo non ci si piaccia più o che non si abbia più voglia di fare l'amore ecc..ma non è più così, non è più un volere così forte e così esclusivo e costante. Può ricapitare, sì, anzi forse ricapita sempre nel corso della storia. Capitano slanci di passione, che è un po' come ritornare agli inizi; ma la base di questo "periodo maturo" è un qualcosa a cui sono stati dati molti nomi: il più brutto, spesso usato in tono dispregiativo, è abitudine. Il più bello è amore.
Tutto questo vale evidentemente solo se si continua a stare insieme per un periodo più o meno lungo, il che capita se si sta bene insieme. Questo è un punto fondamentale ed il requisito dell' abitudine/amore: che si stia bene l'uno con l'altra, senza incompatibilità sostanziali ecc...

Forse non sarete d'accordo nella mia definizione di abitudine/amore, e tantomeno lo sarete sul fatto che coincidano. Beh, ovviamente la mia è soprattutto una provocazione. Ma che nasconde, se ben analizzata, la verità. Vediamo, da un certo punto in poi perché si sta insieme? E' un miscuglio di affetto, attrazione fisica, attrazzione intellettuale, stima, stare bene in compagnia e, appunto, un'inerzia della vita a due, delle cose che stanno al contorno, delle cose di tutti i giorni. Viene detta abitudine, in senso dispregiativo, ma secondo me andrebbe rivalutata, non c'è nulla di male ed è la sacrosanta verità. Io tutto questo insieme lo chiamerei senza problemi amore. Oppure volete chiamare amore solo la passione di cui sopra? Va bene, basta capirsi, sono solo parole.
Ok. Siamo al punto critico. Quel che intendo è questo: in questo amore/abitudine ci si può pure stancare. Ci si può iniziare ad interrogare su quel che si vuole, sul fatto che non c'è più la passione che si diceva prima, sul fatto che ti piace anche una che passa per la strada (questo non succede all'inizio - almeno non a me), sul fatto che - appunto - la persona che hai di fianco forse è qui solo per caso e continua a starci solo per abitudine (maledetto senso dispregiativo! ma che male c'è in questo?) e tutta una serie di cose del genere. Il perché questo accada è piuttosto complicato e direi aleatorio: gioca un ruolo fondamentale l'essere o meno "pugnettari", ossia farsi problemi quando non ci sono; ma, comunque sia, l'intero processo è scatenato da un qualche evento, dal venire meno di qualche situazione "stabilizzata", dall'insinuarsi della noia nel rapporto..insomma da una serie di cose. Questo può accadere in vari momenti. Può capitare che prima che accada si decida di sposarsi, di andare a convivere e di fare un figlio. Beh se succede prima tutto questo (o forse anche solo una di queste cose) è decisamente più difficile che il senso di stanchezza sia "pericoloso" per la coppia, per ovvi motivi. Lo può essere lo stesso, esistono i divorzi e le separazioni...ma non me ne intendo molto nè direttamente, ma nemmno indirettamente, dunque mi limiterò al prima.
Dunque se succede prima è chiaro che c'è un problema. Il problema può essere del tipo: mah, io mi sono rotta (continuo a parlare al femminile, solo perché nel caso in questione io mi immedesimo con lo gnù, sto sempre con i più deboli) e chi me lo fa fare ad andare avanti. Plausibile. Oppure può capitare che, sul terreno di questa indecisione, ci si innamori di qualcun altro; con la qual cosa intendo che quella passione di prima viene indirizzata verso qualcun altro. Oppure ci si può tenere questa indecisione finché passa, se passa. Oppure, cosa alquanto squallida, ma nondimeno in molti casi valida, si può addirittura tentare un passo avanti.

Il punto che vorrei sottolineare è che si tratta di qualcosa di assolutamente normale, nel senso di naturale. Fondamentalmente si tratta di fortuna ad azzeccare i tempi giusti, ma credo che nella maggioranza dei casi sia semplicemente un convivere con questa indecisione finchè non passa (che poi forse non passa, ma si dimentica e rimane lì da qualche parte, come la passione).

Ma in tutto ciò, dove sta lo gnù? Beh è chiaro, lo gnù è colui che viene lasciato nel bel mezzo del suo periodo di amore/abitudine, senza essere in nessuna indecisone particolare (se lo fosse non sarebbe gnù), ma anzi con progetti e speranze per il futuro, o anche solo con l'idea decisamente calcificata di avere quel qualcuno accanto. La beffa è che quando lo gnù diventa gnù, salta fuori anche quella nostra amica di prima, la passione, a rendere le cose decisamente più difficili, come se non fosse già sufficiente l'essere sbranato.

Bene, non vi sembra anche a voi che qui ci sia qualcosa che non va?

Beh, per dirla propio tutta bisognerebbe spendere due parole anche sul coccodrillo. C'è da dire, in effetti, che anche il lasciante, se ha un minimo di intelligenza e di sensibilità, non se la passa proprio bene. Perché evidentemente il problema è tale anche per lui (all'inizio solo per lui) ed è fondamentalmente lui che deve decidere il da farsi e ancora è lui che sentirà il peso del senso di colpa. E dopotutto, anche lui "deve" rinunciare ad una storia importante, tutto per una indecisione su cui è inciampato.

Quindi per qualcosa che non va intendo questa fragilità intrinseca del rapporto, il fatto che basti così poco a farsi un male tremendo. Questo dolore così facile e così, ormai, digerito che tutti ti dicono, beh dai, vedrai che passa. Ma no cazzo! Non va bene così, non può essere così..io mi rifiuto di pensare che questa sia la "normalità" e se lo è maledico la naura o chi per lei che ci ha fatti in questa maniera subdola e dolorosa, troppo dolorosa.



Nota a margine: a una prima lettura tutto questo può sembrare alquanto cinico e freddo. Io non lo credo affatto. Si tratta semplicemente di essere sereni con se stessi e capire che non c'è nulla di male in questa analisi, nulla, tranne l'ultimo punto ovviamente, lo gnù e il coccodrillo. Lì sì che c'è un inciampo.
Perché questa analisi non toglie nulla alla bellezza di stare insieme! Non c'è bisogno di pensare di avere a fianco il partner predestinato per stare bene insieme. Non c'è bisogno di pensare che la persona che hai di fianco forse magari sarebbe stata meglio con qualcun altro, allora magari forse se...la persona che si ha di fianco è speciale proprio per questo motivo, perché è lì ed è lì perché lo ha voluto e continua a volerlo, questo lo rende unico per te. Non c'è bisogno di pensare che esista un sentimento superiore che o c'è o non c'è, quasi si avesse un pulsante e se c'è allora va bene si può stare insieme, mentre se non c'è guai.
Non c'è bisogno di pensare che la passione quella sì è il vero sentimento e quando quella non c'è più allora è l'inizio della fine, e che in una vera storia la passione deve rimanere sempre...ma ve la immaginate una storia tutta come i primi mesi? a me stancherebbe di più quella, non so a voi. E' bello che le cose cambino, è bello abituarsi (sì, voglio proprio usarlo questo verbo) all'altra persona, è bello averla di fianco a dormire nel letto senza avere il chiodo fisso..vabbeh, avete capito (stavo per essere volgare), solo averla lì, guardarla ogni tanto.
Non c'è motivo di pensare che se si sta bene a fare le cose di tutti i giorni, che se si è a proprio agio ad andare a fare la spesa l'uno con l'altra, e che se questo crea una parte stessa del legame allora bisogna aver paura che sia abitudine, oddio abitudine non sia mai. Questo è il bello dello stare insieme.
Insomma, si tratta di capire e accettare che c'è meno stregoneria e più semplicità in quello che si chiama amore.


Altra Nota: c'è un punto chiave in tutto questo (molti più di uno, ma lasciatemi dire) ed è l'essere pugnettari. E' chiaro a tutti che questo gioco delle coppie è qualcosa di quantomai delicato, da prendere con i guanti (e qui appunto - come dicevo poco fa - sta gran parte della illogicità, dovrebbe essere una cosa forte, robusta, stabile...e non lo è, non lo è mai). Uno dei pericoli è proprio il "farsi domande". Mi viene in mente, non so perché, quel Fantozzi in cui sono al giapponese e c'è il tizio del tavolo di fianco che gli dice Non faccia domande, mangi e basta. Ecco, uguale. In amore non bisognerebbe mai farsi troppe domande "razionali". Non bisognerebbe mai cercare di capire troppo. Perché è un giochino fragile, e se vuoi vedere come funziona, finisce che lo rompi. Bisogna avere una buona dose di incoscienza e semplicemente, stare al gioco. Per avere uno sguardo razionale (come ho tentato di fare in queste pagine) bisogna essere sufficientemente bardati, avere il pelo nello stomaco per sopportare che sia così senza buttare per aria la tavola e dire, beh io non gioco più.