martedì 10 giugno 2008

Essere o non essere... religiosi

Con i piedi felpati (ma poi non tanto) voglio tornare sull'argomento (molto) spigoloso detto Religione. La domanda guida del ragionamento e'

"e' sufficiente il fatto che il pensiero dell'esistenza di un Dio buono ecc... ci faccia sentire sereni, felici, rassicurati, perfino convinti della giustezza del pensiero medesimo, e' sufficiente questo per poter essere religiosi?"

Ricorderete che in un post precedente (lo trovate qui) ero arrivato alla (personale, ma molto sentita) conclusione che l'unica religiosita' che possa esistere deve essere di tipo fideistico. Con questo intendo che una persona razionalmente capisce che non puo' emettere giudizi, non puo' essere sicuro di nulla, in una parola non puo' "credere"; mentre lo puo' fare con una specie di volo pindarico, un salto nel vuoto, accettando di non cercare spiegazioni, ma semplicemente di vivere secondo religione e capendo dalla vita stessa che questa e' la vera vita, la giusta vita.

Tornando ora alla domanda, e' dunque sufficiente sentirsi religioso per poterlo essere? Non c'e' forse comunque una parte della testa che ti dice "guarda che questa convinzione interna che hai, questa serenita' che senti vivendo religiosamente non e' indice della rettezza della via che stai percorrendo, ma solo della comodita' di tale visione" (ma come parla questa parte della testa? Ditegli che siamo nel 2008!).

Qui casca l'asino! (almeno il mio). Ci sara' sempre la ragione a fare da guasta feste alla religione, non e' cosi' semplice disaccoppiarle e farle stare in due stanze diverse, dopo tutto la testa e' una sola (si spera).

Questo e' il punto in cui il mio ragionamento si ferma. Non trovo strade per andare avanti, sono bloccato qui. Magari potete aiutarmi voi?

Intanto voglio consigliarvi un libro (ehi potrei aprire una rubrica "libri consigliati", magari ci penso eh), da cui sono tratte piu' o meno tutte queste cose:

La Confessione, L.N. Tolostoj

come suggerisce il titolo, si tratta di una specie di monologo interiore dell'autore, che racconta della profonda crisi spirituale che lo ha "colpito" e gli ha cambiato totalmente l'esistenza.
Purtroppo non e' molto facile da trovare in libreria, pero' si trova su internet (anche se leggere sul pc non e' proprio comodo comodo).

Ciao a tutti!!

martedì 3 giugno 2008

I Limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
piú chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.

Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.

I Limoni (Ossi di Seppia) - E. Montale

Bene bene, copiando spudoratamente da questo blog (che ho trovato casualmente sulla rete), copiando - dicevo - da quel blog, ho deciso di incominciare questa nuova rubrica che ho intitolato molto originalmente (si dice 'originalmente'? bah?!) "Angolo poetico" (si cercano nomi migliori per cui buttatevi pure)...mi sono di nuovo perso, devo smettere di fare parentesi. Allora stavo dicendo che ho iniziato questa nuova rubrica, che ha come oggetto delle poesie. Poesie che mi piacciono particolarmente, ma ne metterò (forse - niente da fare, le parentesi mi attirano proprio) anche di quelle che non mi piacciono particolarmente (cioè che mi fanno schifo) tentando di spiegarne il perché. Chiaramente l'idea sarebbe poi di esporre cosa (non) mi piace di quella poesia e di avere commenti in riguardo (magari!).

Dopo questa dichiarazione veniamo a "I Limoni"
Spero che prima di essere arrivati qui abbiate letto attentamente tutta (non un po' qui e là, magari saltando qualche verso, intendo proprio tutta) la poesia.
Vorrei soffermarmi sulle ultime due strofe (non voglio scrivere un tema, voglio solo spiegare cosa mi interessa particolarmente di questa poesia).

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.

Non è capitato anche a voi? In momenti in cui non state facendo nulla di particolare (lo so non ne avete molti, ma ogni tanto vi capiterà) la testa incomincia a "girare" per i fatti suoi e va ad incunearsi in pensieri "sopra le righe" per così dire; non si sofferma su "devo assolutamente comprare lo shampoo, che l'ho finito" e nemmeno su "porca ... - oppure beep se preferite, il concetto è una parola poco carina, qualsivolgia - non ne ho per niente voglia di andare a lavorare, me sto qui sul divano a dormire", attimi, istanti nei quali sembra quasi di essere lì lì per capire, per stracciare il "velo di carta" e dire "ecco, finalmente ho scoperto il trucco!", il senso delle cose...o meglio, non tanto il senso delle cose, quanto un punto fermo, una certezza, uno scoglio sicuro nel mare dubbioso e scivoloso dell'esistenza.
Sono attimi illuminati, come una fotografia, un flash sul mondo che però è subito andato e la vita ci re-inghiotte con il pensiero del domani, di cosa mangiare questa sera, dei jeans da comperare, delle cose da fare...da fare ma senza aver capito perché e, questo è il vero dramma (o forse la fortuna, altrimenti saremmo già da tempo più che estinti) senza nemmeno più avere in mente che quel perché non lo sappiamo; meccanicamente ci trasciniamo, come un disco che gira.

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.