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mercoledì 26 giugno 2013

+pietra+pietra+

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell'arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo.
Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell'arco che mi importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c'è arco.
(calvino_città invisibili)
esempio carino per spiegare che un insieme di cose può essere di più di un insieme di cose, ossia la meccanica statistica del ponte. (questo piccolo esempio piacerebbe molto a hofstadter, che crede che la coscienza sia l'arco dei neuroni)

venerdì 8 febbraio 2013

oggetti smarriti

vedevo su raistoria ier mattina una di quelle trasmissioni che fanno su come eravamo negli anni 60 ecc.. mi pare fossero i 50 questa volta (che belle che sono, sono un fannissimo del digitale e della rai).
Parlavano della scuola negli anni 50: l'avvento della biro. A parte il fatto tristissimo che questo signor Biro, che ebbe quell'idea geniale della sferetta che ruota e lascia l'inchiostro sulla carta, brevettò sì la genialata, ma morì povero e tutto il gusto --e i soldi-- se lo prese un imprenditore, Bich (poi Bic); di interessante c'era che si parlava di uno di quei momenti in cui arriva una roba nuova che scombussola un po' il modo generale di fare un gesto, scrivere.
E noi oggi solo le biro usiamo, dunque la biro ha stravinto contro il povero pennino, ma all'epoca c'era chi sosteneva le parti di pennino e calamaio. Qual era l'argomento? che con la biro si rovina la bellezza della scrittua.
Avete presente quelle belle scritte allungate, curve, morbide? voglio dire che le maestre (erano loro i baluardi di pennino e calamaio) avevano a loro modo ragione: abbiamo perso qualcosa passando alla comoda biro, abbiamo perso un pezzo che faceva parte di quel gesto, un pezzo bello.
Ma nessuno sano di mente oggi si sognerebbe di dire che era meglio se non avessero inventato la biro.
Non so se mi sono spiegato: quel che volevo dire, era che questo episodio mi sembra far capire che (basta con i che!) i cambiamenti ci sono e anche quando sono in meglio (e nella storia lo sono molto spesso) si lasciano qualcosa alle spalle, qualcosa di bello si perde. ma la cosa che mi rincuora è che quando si capisce che qualcosa si sta perdendo, di fatto è un passo verso il ritrovarla, e salvarla: come quando si scrive un appunto di una frase che non si vuole dimenticare.

giovedì 8 novembre 2012

sistema re ?

si dice no? che una volta si sistemava ed ora si butta e ricompra. si dice talmente tanto, che viene istintivo dire che non è vero, o per lo meno viene d'impulso fare le debite distinzioni.
Poi, l'altro giorno (molto altro), mi si sono rotti gli auricolari. devo dire che io uso molto gli auricolari. c'è chi li usa poco, o niente, ma a me servono: per cui auricolari rotti è un problema.
ne ho comprato subito un altro paio. mentre lo facevo, però, mi sentivo in colpa. dopotutto si era rotto solo il filo. e mi è venuto in mente (bè, non proprio, è una di quelle robe che ce le avevo già in mente dalla rottura, ma non ci avevo pensato davvero) che quando ero più piccolo mi piaceva da matti armeggiare con auricolari (bè, una volta c'erano solo le cuffie) casse, jack e cose varie...e avrò sistemato decine di cuffie o auricolari. perché non stavolta? risposta confezionata: perché la società adesso è fatta così.
i motivi veri sono ovviamenti tanti: credo che il principale sia: una volta non avevo i soldi per comprarli subito nuovi, gli auricolari, e -semplicemente- mi arrangiavo. però, quella risposta confezionata -per quanto sembri un luogo comune- c'è. tanto è vero che poi, spinto dal solo spirito di competizione con me bambino, ho provato a sistemarli. non ci sono riuscito: gli auricolari moderni sono molto più complicati! ho pure cercato su internet ed ho trovato milleuna guide per riparare qualsiasi tipo di guasto potessi immaginare: bisognava bruciare i fili perché adesso ci mettono una pellicola isolante, eccetera eccetera...insomma, mi è passata la voglia: tanto vale davvero comprarne di nuovi. tutto questo per dire che un po' mi sono rassegnato ad accettare che quella tiritera sul buttare e ricomprare è un po' vera, è un po' intrinseca nel 'come vanno le cose' (il famigerato e famelico sistema).
poi ho fatto un po' l'equilibrista e ho provato a pensare se lo stesso meccanismo si può applicare alle relazioni personali: è vero che una volta i problemi si sistemavano e si andava avanti e adesso si butta e si ricomincia da capo?

lunedì 16 luglio 2012

we build for eternity (?)

quando ero in scozia ho visitato una distilleria di whisky (rigorosamente senza e). una roba tutta molto turistica, con negozio di cianfrusaglie e souvenir vari, visita guidata con signorina (molto gentile) che ti porta in giro, ti spiega un po' di storia, un po' di meccanismi (pochi, che la gente si stanca quando si va sul difficile, soprattutto se non è che poi del whisky gliene freghi più di tanto, solo passava dalla scozia e vuoi non vedere la distilleria? giustamente.) e poi c'è la degustazione finale. tutto senza sborsare un centesimo. molto carino.

c'è una cosa che mi ha colpito del whisky. che si sa benissimo, sia chiaro...ma è uno di quei momenti in cui c'è bisogno di un po' di rito perché una roba che sai già ti diventi davvero chiara. la cosa è banalmente questa: dodici anni! questi prendono l'orzo, lo fanno fermentare, lo distillano (un paio di volte) e lo mettono nelle botti. poi aspettano dodici anni, almeno (!).

quando ero lì ho pensato immediatamente che il whisky è una roba di un mondo che non c'è più. il modo di pensare che c'è dietro, voglio dire. è un po' come i coccodrilli o i ginko biloba, dei fossili viventi, che sono sopravvissuti in qualche modo, ma non ci azzeccano con il contorno.
poi, ora, tutto quanto il mondo del whisky, il suo vestito per così dire, è perfettamente inserito nel meccanismo commerciale produttivo, pubblicità, marketing e compagnia cantante. ma a guardarlo dall'alto, la filosofia, l'idea, sono roba che ha l'odore del mondo vecchio, roba che non c'è più. (niente giudizi di merito, anche se si potrebbero pure fare)

e mi è venuto anche in mente che da qualche parte ho sentito Daverio (il tipo strampalato -e un po' arrogantello- di Passepartout, per intenderci) che raccontava di un suo incontro con qualche americano venuto in italia. questo si era stupito molto dell'urbanistica delle città medievali, e della loro 'resistenza' al tempo. (forse non era porprio di questo, ma il concetto rimane). e lui (Daverio) ha detto 'we build for eternity' e l'altro 'you're right man, we build for real estate'.
eccole qua le due filosofie. (ora c'è pure il merito.)
purtroppo (eccolo il merito), non è più vero neanche per noi, e da un sacco di tempo.

lunedì 28 maggio 2012

nomina sunt

mi è venuto in mente un altro esempio (di quello scritto qui sotto) che mi piace: i nomi.

l'altro giorno ho visto una foglia sulla terrazza. era una foglia di ginko biloba. e non ricordavo di averne visti (di ginko dico) lì intorno, quindi mi sono messo a guardare giù dalla terrazza tutti quanti gli alberi per vedere se riuscivo a beccarla. non l'ho trovata, ma è stato carino stare un po' lì a guardare tutti gli alberi, tigli, aceri, magnolie. ed è finita lì.
più tardi --o forse subito-- mi sono sorpreso a pensare che senso possa avere sapere il nome degli alberi. uno sa il nome degli alberi e ha la parvenza di conoscerli, ma non è vero. non è che perché so che quel tale albero si chiama ginko biloba io conosca meglio quell'albero o quella specie. per conoscerla dovrei sapere come sono fatte le foglie, i fiori, qual è la sua storia, dove vive..e così via, il nome è una convenzione che non ha sostanza.
bene, non fa una piega, tutto vero (sono un nominalista convinto, come più o meno tutti immagino).
d'altra parte, nonostante non contenga alcuna informazione sul 'chi sia' quell'albero, il nome è importante. senza sapere i nomi io non mi sarei soffermato su quella foglia, sorpreso di vederla lì. non mi sarei guardato in giro, eccetera...conoscere il nome di qualcosa non vuol dire conoscerla, certo; ma non la si può conoscere se prima non la si addomestica, la si avvicina, nominandola. conoscere i nomi a questo serve, a renderci domestico un qualcosa che prima non lo era..è un avvicinamento alla cosa, indispensabile alla conoscenza 'sostanziale', è un pacchetto che può sembrare rigorosamente superfluo e invece è spesso il lasciapassare di quel che importa.

e devo ammettere che questa convinzione --di questo si tratta-- mi rende i nomi molto simpatici, mi sembrano quasi un modo per rendere più intimo e meno lontano tutto quanto ci sta intorno...e invece che vederli come etichette, mi sembrano più come bigliettini che accompagnano un regalo.

venerdì 18 maggio 2012

il pacchetto e il regalo

ieri era l'anniversario della morte di luigi calabresi. dell'assassinio. e stavo guardando, a sera tardi, uno speciale di minoli, di qualche anno fa, che davano su rai3. c'era il figlio che parlava (il direttore de la stampa) e raccontava di quando, nel 2004, ciampi ha deciso di dare una medaglia al valore a suo padre (non di ciampi) --e ad altri-- con un cerimonia al quirinale.
lui --mario, il figlio-- era scettico. non aveva mai creduto in queste storie, era (è) un tipo che bada alla sostanza e non ai rituali, alle cerimonie, ai momenti istituzionali. ma, ovviamente, andò comunque, e --dice-- capì di essersi sbagliato fino ad allora, che non è vero che il rito non serve. che spesso non basta la sostanza, o meglio la sostanza, senza momenti in cui coagularsi ed essere rappresentata, può disperdersi e non riuscire a sostenersi da sola. la medaglia la si può pure buttare il giorno dopo, l'importante è quel momento collettivo in cui si riconosce quel contenuto. la medaglia è un pretesto, per avere qualcosa di concreto da fare lì, in quella cerimonia. l'importante è che ci sia quel momento, in cui la memoria di calabresi trova rappresentazione e si concretizza per poter durare più a lungo.

è una roba che è capitata anche a me. voglio dire, a me non in un'occasione specifica, ma ad un certo punto (e senza troppe sfumature) ho capito che anche se razionalmente il rito è insensato, ha una sua forza. la medaglia, il pacchetto il rito la decorazione, ad una testa come la mia, dava fastidio: mi pareva un orpello inutile. se c'è la sostanza, mi dicevo, allora il pacchetto è in più ed anzi, la sporca. se non c'è, il pacchetto è un'ipocrita presa in giro. il secondo caso è indubbiamente vero: l'errore sta nel primo.
rimane il fatto che il regalo vero è quello che sta dentro al pacchetto, e se manca quello, non c'è rito che tenga. ma quanto è importante la sorpresa, il bigliettino, lo scartare!...sono tutti riti che danno un spinta al contenuto.

d'altronde, il concetto stesso di regalo è il pacchetto di qualcos'altro, che sia affetto, stima, amore. quella è la sostanza. in effetti, alcuni pensano che i regali siano inutili: se c'è l'amore, cosa può aggiungere un insignificante ed inutile convenzione come 'il regalo'? invece non è così, quello è il lato sbagliato da cui guardare la cosa. (ed è vero solo nel caso in cui si facciano regali perché *lo si deve fare*)
i regali (e i pacchetti dei regali) sono i momenti in cui quel sentimento (se c'è) ha una spinta, una boccata di emozione, una rappresentazione. e sono molto importanti, con buona pace delle teste rigide dei razionalisti.
e, se ci pensate, in fondo l'arte stessa non è altro che un modo di impacchettare al meglio possibile un contenuto, un modo di fare un'iniezione di emozione ad un'idea, ad un significato che, da solo, non avrebbe la forza di sfuggire al tempo e alla banalità.

sabato 12 maggio 2012

eros e thanatos

l'altra sera sono andato al cinema a veder MaHlEr, di KeN rUssEll -che consiglio, ma non è di questo che voglio parlare. c'è una scena, uno dei tanti sogni-ricordi-episodi, in cui aLmA (la moglie) corre nel bosco e va a seppellire gli spartiti delle sue canzoni, che il marito avevo snobbato e deriso. la colonna sonora di quella corsa+sepoltura è quella che trovate qui sotto, il LIeBEstOD del TrIsTaNo di WaGnEr. avevo già visto il film prima, ma non mi ricordavo ci fosse questa musica e mi ha colpito. e devo dire che mi è andata direttamente ai nervi, con tanto di pelle d'oca, groppo in gola e tutto quanto.
ripensandoci, più tardi, ho provato a capire cosa era stato. no, lo so cosa è stato, intendo dire cosa fa di una musica (o un quadro, insomma, ci siamo capiti) una cosa tanto potente. e ho individuato almeno due cose fondamentali: il riconoscere. il significato.
riconoscere: sono sicuro che chi guarda il film ma non conosce questa musica, non ne rimane colpito. verosimilmente non la nota neppure (almeno non *consciamente*) e si guarda la scena. se la nota, al massimo può pensare che sia bella (o brutta). proprio bene bene che vada gli fa venire un po' di brividi, ma questo deve essere proprio un sentimentalone. riconoscere quella musica è fondamentale, è come se dentro ci fosse già un posto creato da quella musica, la sua zona, il suo nido che è pronto a prenderla e a coccolarsela.
significato: tolto il significato che questa musica ha, le si toglie gran parte del fascino, della forza. per tutte quante le musiche è così: questa ha un significato specifico, visto che fa parte di un'opera e c'è una vicenda che le note raccontano, ma il significato può anche essere del tutto soggettivo, un po' come l'odore di pioggia nel bosco ti ricorda un momento particolare, che ha voluto dire per te qualche cosa.
questa, dicevo, ha un significato specifico e particolare...forse anzi è uno dei pezzi di musica che più si portano dentro un qualche cosa, anche se spiegare cosa sia lo rende un po' banolotto, come vedrete. (sarò più veloce possibile)
siamo alle ultimissime note dell'opera, del racconto. non so se sapete la storia di tristano e isotta..ma non importa, è quasi uguale a quella di giulietta e romeo: amore vivo, ma impossibile, possibile solo nella morte. e la scena finale è appunto la morte di isotta sul cadavere di tristano. dunque questa musica si porta dentro un miscuglio inestricabile di amore e morte, di ascesa e decadenza..o forse sarebbe ancora meglio dire amore *nella* morte e ascesa *nella* decandenza (liebestod vuole appunto dire morte d'amore). e la sua stessa struttura ricalca questa impossibilità...per tutta l'opera la musica è stata un continuo creare tensione senza mai raggiungere una soddisfazione, senza mai raggiungere una pace (in effetti, se proprio devo direlo, l'opera è pallosissima). solo qui (precisamente al quarto minuto e poi -e definitivamente- al quinto) wAgNeR finalmente vi da quello che aspettate, un po' di piacere, un po' di pace, che è -insieme- l'amore e la morte, i due veri opposti. pelle d'oca assicurata.