redemption-blog
"Emancipate yourselves from mental slavery. None but ourselves can free our mind"
mercoledì 24 giugno 2015
martedì 11 febbraio 2014
meritopazzia
la meritocrazia è tremenda. è fondamentalmente ingiusta, cioè alla base.
per meritocrazia intendo: dare di più a chi è più bravo. Distribuire i beni in base ai talenti e non alle necessità. Si capisce da sé che è una roba tremenda, chi i talenti non ce li ha è beffato due volte (e non lo ha certo scelto lui di non averli o di non saperli far fruttare).
però: l'ingustizia della meritocrazia non è ingiustiza dell'uomo, è ingiustizia del mondo. Voglio dire, siamo costretti ad essere meritocratici, ad incentivare chi ha i talenti rispetto a chi no li ha, *nostro malgrado*, perché fare diversamente sarebbe un totale disastro. È il mondo a costringerci a questi compromessi terribili.
giovedì 6 febbraio 2014
lasciatemi divertire
chissà, a volte mi chiedo.
questo mi chiedo: ma non è che, mentre la scienza (e con scienza intendo proprio scienza, quella in cui quando misuri capisci se hai sbagliato o no) è molto complicata (a volte mi sembra incommensurabilmente complicata rispetto a tutto quanto il resto) ma qualche cosa di concreto lo tira fuori, sia nel senso di *conoscenza* che nel senso di *utilità* (categoria che istintivamente non amo, ma mi sa che sbaglio), tutto quanto il resto (ma proprio tutto quanto) è fuffa?
e, sia chiaro, non è che lo dico perché se così fosse io starei, per diritto di studio, dalla parte dei fighi che sanno qualcosa e sono più intelligenti. Anzi, credetemi, lo dico *nonostante* questo. Infatti io, tra le due parti, scelgo ciecamente la presunta fuffa (perciò spesso -sempre?- penso di aver un po' sbagliato tutto). La scelgo perché mi piace di più. Mi piace di più perché è più facile capirci qualcosa, è più facile divertircisi, è più facile pensare di averne una consapevolezza dignitosa, e così via. Perché, vi dico la verità, almeno per quel che mi riguarda, con la scienza tutto questo mi risulta molto più difficile. Faccio un piccolo e stupido esempio (che starebbe di diritto nella parte fuffa): se prendo un libro oppure ascolto una conferenza su, diciamo, Wittgenstein, certamente sarà una lettura/ascolto un po' pesante, ma certamente se mi interessa e sto attento, se non proprio tutto, almeno qualcosa alla fine avrò capito. E se poi, incuriosito, vado su wikipedia e incomincio a leggere e poi via così, non dico che divento esperto di Wittgenstein, ma insomma, credo di riuscire a farmene, dicamo in una giornata, un'idea abbastanza chiara. Ecco, provate a fare una cosa del genere con un qualsiasi argomento di fisica, o di matematica, eccetera. Vedrete che abbandonerete molto molto presto, e senza aver capito proprio nulla. Morale: è molto più difficle essere competenti nelle scienze.
Tanto più che, mentre su Wittgenstein si può dire un po' quello che si vuole senza sbagliare troppo (certo, sto esagerando, e forse ho preso l'esempio sbagliato, ma andiamo avanti), non così in argomenti in cui giusto e sbagliato sono ben chiari.
L'ho detto en passant, ma direi che è il punto fondamentale: la precisione. La scienza (incomincio a stancarmi a parlare con nomi così autoreferenziali e squillanti, dunque da qui in giù non li userò più, anche a scapito della comprensione, siate avvisati) richiede precisione, si parla di cose che hanno una definizione, ci sono cose corrette e cose sbagliate, e l'esperienza sensibile è --per lo meno sul lungo raggio-- sempre sovrana (resti inteso che qui si potrebbe parlare molto di come si costruiscono le teorie scientifiche, di come si *usa* l'esperimento, del fatto che anche qui si possono fare intepretazioni, eccetera. è vero, verissimo. ma concedetemi che si tratta di spiccioli nel'economia di quel che voglio dire).
Rimango sempre invece impressionato dall'estrema vaghezza dei discorsi chiamiamoli umanisti. Davvero si riesce ad argomentare quasi tutto. Un fatto storico, ad esempio, è un fatto storico e fin qui non ci piove. Ma per le cause di quel fatto, c'è chi pensa una roba e chi il suo contrario ed entrambi argomentano e spesso usano ragionamenti parecchio simili che arrivano a conclusioni opposte. In filosofia non è nemmeno necessario parlarne: è affascinante leggerne o starne ad ascoltare, ma non dice praticamente nulla cui si possa fare davvero affidamento (tanto è vero che la filosofia è fatta di opinioni di uomini, quasi sempre in disaccordo tra loro), e le uniche cose sensate che dice sono banali. Certo, tutto questo può servire a *fare riflettere* e va benissimo, ma punto e basta. Voglio dire, il prologo di ogni discorso filosofico dovrebbe essere: bene, ora comincio a parlare, ma non so nulla di quel che sto dicendo, non pretendo di arrivare ad alcuna conclusione e parlo solo perché *mi piace* parlare di ciò e rifletterci su. Che è un motivo nobilssimo, per carità! Ma, appunto, io la vedo più simile ad una forma letteraria, che pure aiuta a riflettere (sarei tentato, qui, di buttare fuori tutto quello che posso dire su arte e non arte, che mi divertirei molto --ah, giusto, forse andrebbe detto, ma è abbastanza evidente di per sé, che pure quel che sto dicendo è molto fuffa-- ma sorvolo). La critica storica pure è una forma letteraria. Insomma tutte quelle cose in cui si parla e si parla e ci si diverte e si pensa, ma in cui è chiaro --o dovrebbe essere chiaro-- che non si ha il minimo modo di verificare la validità di quel che si sta dicendo.
In questa prospettiva, sono tutti giochi che si fanno per divertirsi e passare il tempo.
Questo è quello che mi dico, a volte. Il resto del tempo semplicemente non ci penso e mi leggo e guardo un sacco di fuffa.
Ma ora che mi sono messo a scriverne, vedo che le due cose non sono poi in contraddizione. Il fatto che siano giochi mentali non mi sembra un declassarli, e se ci si diverte a farli, ben venga.
bene, ora sono in pace con me stesso, grazie.
[rileggo. sono stato un po' pressapochista e, quel che è molto peggio, pesante. chiedo scusa (come se dirlo contasse qualcosa)]
mercoledì 26 giugno 2013
+pietra+pietra+
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. – Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan. – Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell'arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell'arco che mi importa. Polo risponde: – Senza pietre non c'è arco. (calvino_città invisibili)esempio carino per spiegare che un insieme di cose può essere di più di un insieme di cose, ossia la meccanica statistica del ponte. (questo piccolo esempio piacerebbe molto a hofstadter, che crede che la coscienza sia l'arco dei neuroni)
venerdì 8 febbraio 2013
oggetti smarriti
vedevo su raistoria ier mattina una di quelle trasmissioni che fanno su come eravamo negli anni 60 ecc.. mi pare fossero i 50 questa volta (che belle che sono, sono un fannissimo del digitale e della rai).
Parlavano della scuola negli anni 50: l'avvento della biro. A parte il fatto tristissimo che questo signor Biro, che ebbe quell'idea geniale della sferetta che ruota e lascia l'inchiostro sulla carta, brevettò sì la genialata, ma morì povero e tutto il gusto --e i soldi-- se lo prese un imprenditore, Bich (poi Bic); di interessante c'era che si parlava di uno di quei momenti in cui arriva una roba nuova che scombussola un po' il modo generale di fare un gesto, scrivere.
E noi oggi solo le biro usiamo, dunque la biro ha stravinto contro il povero pennino, ma all'epoca c'era chi sosteneva le parti di pennino e calamaio. Qual era l'argomento? che con la biro si rovina la bellezza della scrittua.
Avete presente quelle belle scritte allungate, curve, morbide? voglio dire che le maestre (erano loro i baluardi di pennino e calamaio) avevano a loro modo ragione: abbiamo perso qualcosa passando alla comoda biro, abbiamo perso un pezzo che faceva parte di quel gesto, un pezzo bello.
Ma nessuno sano di mente oggi si sognerebbe di dire che era meglio se non avessero inventato la biro.
Non so se mi sono spiegato: quel che volevo dire, era che questo episodio mi sembra far capire che (basta con i che!) i cambiamenti ci sono e anche quando sono in meglio (e nella storia lo sono molto spesso) si lasciano qualcosa alle spalle, qualcosa di bello si perde. ma la cosa che mi rincuora è che quando si capisce che qualcosa si sta perdendo, di fatto è un passo verso il ritrovarla, e salvarla: come quando si scrive un appunto di una frase che non si vuole dimenticare.
domenica 20 gennaio 2013
ognun per sé ed io per tutti
ho più o meno sempre pensato che qualsiasi scelta è una scelta egoista, cioè che ognuno fa le scelte secondo quanto lo fa stare meglio --ma torniamo dopo su questo.
La teoria dei giochi pare essere d'accordo, in un senso specifico: si parla di strategie che massimizzino (che brutta parola) la propria utilità (anche questa non scherza), indipendentemente da quella altrui. Lo ridico, ogni giocatore gioca cercando di guadagnare più che può dal gioco.
In effetti, uno dei concetti di equilibrio di un gioco, è quello di una situazione in cui ogni giocatore non ha nessun guadagno personale a cambiare strategia, posto che gli altri non la cambino.
Dunque, tutto quanto è ognuno contro ogni altro, o --meglio-- ognuno per sé e dio per tutti.
Faccio anche notare che i giocatori che si comportano così sono definiti _razionali_ ..un po' come dire che chi non fa il proprio tornaconto è un po' scemo.
Penso che tutto ciò sia un modo giusto di vedere le cose (e per 'cose', così come 'giochi', si intende qualsiasi situazione sociale di conflitto, in un qualche senso), ma anche molto sbagliato.
Spiegomi: come nella prima riga, è vero che ognuno agisce secondo quanto lo fa stare meglio, ma questo vale sia per l'_egoista_ che massimizza solo il suo guadagno, che per l'_altruista, che massimizza (basta con 'sta parola!) quello degli altri.
La teoria dei giochi pretende che il giocatore razionale sia _egoista_ in questo senso stretto del termine. (sto esagerando, non conosco così bene le cose per dirlo..ma lo dico lo stesso)
La gente (razionale) in realtà non si comporta cercando di massimizzare la propria utilità a scapito di quella altrui. Il perché è evidente a questo punto. Tutti i problemi stanno nel che cosa si intende per utilità: mi pare che sia una roba un po' attorcigliata, che comprende di certo una parte che dipende da quanto ci guadagnamo noi 'materialmente', ma non solo! una parte dipende dall'utilità degli altri (!!). Quindi direi che se vogliamo parlare di un conflitto realistico, questo 'benessere' o 'utlità' o 'comevolete', salterà fuori da una qualche forma di interazione, e non può essere (totalmente) un dato del problema.
Quel che voglio dire è che nelle nostre scelte, noi non cerchiamo un triste massimizzare (uffA!) del guadagno, perché ci interessiamo anche agli altri. Non possiamo essere contenti se la nostra felicità siede sulla tristezza. In questo modo non stiamo massimizzando il nostro *vero* benessere.
Bene, ho finito.
Prima sentivo alla radio uno psicologo che parlava al festival della scienza di roma, e parlava proprio di questa roba; e diceva che si è 'dimostrato' (ovviamente non è vero, avranno fatto un qualche sondaggio/statistica, bisognerebe vedere come eccetera) che gli investimenti (di denaro) che rendono davvero più felici le persone, sono quelli fatti totalmente a beneficio di altri.
non so quanto sia vero, ma mi piace un sacco.
mercoledì 26 dicembre 2012
piccola messa solenne
ieri sono stato a messa. ogni tanto ci provo, così, per vedere se magari mi succede qualcosa, se cambio idea, non so..la stessa cosa che faccio col cibo che non mi piace.
Niente, nonostante sia aperto alla spiritualità (credo,spero), io a stare lì a sentire e dire quelle robe proprio mi imbarazzo, per me e per gli altri: mi sento uno scemo, mi sembra una farsa --e sono convinto che lo sia, fatta così. Non ce l'ho con il rituale, a me piacciono molto i rituali, ma quelli belli e intelligenti, non quelli tristi e stupidi. triste soprattutto: mai un sorriso, una risata, un applauso: se il prete parla bene, eccheccavolo facciamoci un applauso! anche piccolino, ecchessarammai, un minimo di vita! no, è tutto morto.
è bello ritrovarsi insieme, condividere gli stessi valori ed avere un luogo e un motivo di ritrovo, questo è fantastico, davvero...ma non per starsene lì tristi a testa bassa a sentire delle banalità e a ripetere a macchinetta formule ormai prive di qualsiasi senso. un po' di divertimento! un po' di scambio umano!
Nota positiva. Durante la comunione, parte l'organo: era l'ouverture del guglielmo tell, rossini (qui sotto, la parte calma però --da 6:10 a circa 8:50-- non pretendiamo troppo). che forte!! ridevo, ed ero l'unico e mi sono anche dovuto sentire in imbarazzo.
esperimento fallito, ahimè.
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